Medfilm Festival: Non sono mai tornata indietro di Silvana Costa (Perle)

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Non sono mai tornata indietro racconta la storia di Iolanda che ha vissuto per 36 anni nella famiglia della regista, prima di fuggire in Canada. Era una persona di famiglia ma con un ruolo subalterno, un’identità liminare, che oscillava tra l’amore e l’odio, tra ribellione e accettazione. Era una delle ultime bambine provenienti da povere famiglie contadine della Calabria e cedute a famiglie benestanti, che le prendevano in affidamento per metterle a lavorare come domestiche e tate
Alla sua prima esperienza di regia, Silvia Costa, in un viaggio a ritroso nel tempo, ricostruisce insieme alla donna il lungo percorso fisico e ideale che le ha separate per più di 30 anni.
“Dopo 15 anni di lontananza, sono andata in Canada a riabbracciarla. Da quel momento abbiamo riallacciato i rapporti e le sue parole, hanno riportato alla luce una storia che non avevo mai ascoltato prima. Un racconto collettivo di voci femminili destinate tutte a un’esistenza di subalternità e obbedienza. Voci che riecheggiano ancora oggi tra i vicoli stretti e che si scrutano da dietro le finestre rimanendo impigliate tra obblighi e insolite forme di amore. Le distanze che volevo colmare attraverso questo viaggio insieme, hanno fatto emergere in Iolanda una nuova consapevolezza, una prospettiva inattesa di una nuova libertà”.
La vicenda testimonia un mondo arcaico, crudele e improntato sul più oppressivo patriarcato. Con una brillante intuizione, Silvia Costa decide di restituire questo scenario arricchendo le sue riprese con filmati d’epoca – la storia inizia nel dopoguerra – accompagnati dalle testimonianze di altre donne che hanno condiviso lo stesso percorso di vita di Iolanda. Vi è un’urgenza di utilizzare il cinema come strumento che permetta di dar voce a coloro i quali non è mai stata data.

La scelta della fotografia utilizzata per questo progetto è definita da tale necessità. Siamo di fronte a un documentario che rifugge l’eccesso e la pomposità di montaggio, a favore di una semplicità autoesplicativa. La fotografia è semplice e rigorosa, nel suo farsi testimone di una storia individuale che assume su di sé un arcaico destino collettivo. Iolanda è spesso protagonista assoluta dell’immagine e la sua centralità nella costruzione del quadro, ribadisce quanto l’intera opera sia uno sforzo di risarcire, in qualche maniera, una vita relegata al ruolo di comprimaria delle vite altrui.
In quanto bambinaia della regista, Iolanda è stata per lei una sorta di seconda madre. Così quello che potrebbe apparire come un documentario che strizza l’occhio allo stile pasoliniano sulla metamorfosi e l’ineluttabilità del destino di certe frange sociali, all’interno della società odierna, diventa un atto performativo dell’autrice. La Costa si mette in scena per mezzo della voce, mostrando le sue interazioni con l’ex tata. Così che, al di là delle implicazioni personali, il conflitto fra la comunque sentita appartenenza di Iolanda alla famiglia della Costa e la sua fuga – supportata peraltro dalla regista stessa, ancora ragazzina – assume i contorni di un conflitto più ampio.

È in gioco il legame degli emigranti con il fantasma di una immaginaria identità italiana che passa per le radici familiari e il sogno di crearsi una nuova identità lontana dal dolore vissuto nella società natia. Lo statuto liminare che Iolanda occupa a Toronto fra gli altri italo-americani (ne condivide il ricordo idealizzato dell’Italia, ma non la storia migratoria, né le usanze), contribuisce a decostruire la retorica propria di concetti come appartenenza, patria e famiglia.
Il ritorno in Calabria, infatti, è fallimentare e la storia familiare condivisa di Iolanda e Silvana si risolve, necessariamente, in quella dell’opposizione fra le rispettive classi sociali, da cui alla fine entrambe le donne hanno cercato di emanciparsi. Una attraverso una nuova vita e l’altra attraverso il cinema.
L’incontro fra le due forme di emancipazione dunque, abbiamo detto, si configura come un procedimento dialogico fra due classi/mondi, ma diventa anche indice del rapporto fra lo sguardo cinematografico dell’autrice e l’oggetto su cui esso si posa, Iolanda. Nuovamente si crea un rapporto gerarchico poiché l’obiettivo della macchina da presa, per quanto intriso di onestà e affetto, risulterà sempre dominante rispetto all’oggetto del suo interesse.
Al pubblico, allora, l’arduo compito di riflettere su questo cortocircuito estetico/ideologico, da cui, forse, emerge un ulteriore significato dell’atto di girare un documentario.


Non sono mai tornata indietro – Regia: Silvana Costa; sceneggiatura: Silvana Costa, Chiara Nano; fotografia: Silvana Costa; montaggio: Silvana Costa; musica: Roberto Cherillo;  interpreti: Iolanda Pascale, Domenico Sansalone, Sonia Chiacchia, Giulia Chiacchia, Maria Iori, Beatrice Iori; produzione: Nacne, Home Movies – Archivio Nazionale del Film di Famiglia;  origine: Italia, 2022; durata: 80’.

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