Boiling Point – Il disastro è servito di Philip Barantini

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Ogni epoca ha le sue massime. Anche la nostra. Una di queste è “sì, chef”.

“Sì, chef”: due parole in grado di risvegliare, nelle nostre menti, un intero universo di pentole che bollono, piatti che tintinnano, fuochi che sfrigolano, mani che si agitano. “Sì, chef”: in televisione non si sente altro. Programmi come Masterchef, Hell’s Kitchen, Cucine da Incubo hanno colonizzato le nostre case e i nostri poveri cervelli affamati, trasformandoci in spietati critici culinari o aspiranti artisti dello spaghetto decostruito. “Sì, chef”: chi non ha mai sognato di svolazzare tra i fornelli di una grande cucina, magari sfilettando un nasello o disossando un’anatra? “Sì, chef”: non si tratta di un semplice intercalare, ma di un vero e proprio aforisma. Ogni epoca, dicevamo, ha le sue massime: “Sì, chef” è quella che meglio descrive il nostro periodo storico.

Girato fra il 2019 e il 2021, Boiling Point (a cui la distribuzione italiana ha aggiunto Il disastro è servito) ci schiude le porte (stellate) di Jones & Sons, un delizioso ristorantino londinese tutto costolette di agnello e luci soffuse. Il giovane regista di Liverpool Philip Barantini conosce molto bene il palato del pubblico generalista, senza però dimenticarsi di critici e recensori: il suo nuovo film è infatti definibile come l’equivalente cinematografico del tortino al cioccolato con cuore fondente – e magari un tocco di peperoncino, che male non fa. Parliamo, insomma, di un evergreen riesumato dal ricettario di Nonna Papera e reinterpretato per soddisfare papille gustative più diffidenti. In poche parole: siamo davanti al peggiore Kitchen Nightmare di Gordon Ramsay… ma con meno improperi e più stelle Michelin.

L’idea di Barantini è, nella sua linearità, ambiziosissima: prendere Masterchef (la torta al cioccolato di ogni rete televisiva) e farne una pellicola gourmet. Come? Aggiungendo, ovviamente, il cuore caldo e un tocco di peperoncino – ovvero: un capocuoco sull’orlo di una crisi di nervi e uno staff psicologicamente dissestato. Gli ingredienti sono ottimi, manca il tocco finale: un bel piano sequenza che ci trasporti nei corridoi claustrofobici e febbricitanti dell’alta cucina (nonché del cinema di un certo livello). Il lungometraggio si risolve interamente in un unico segmento narrativo: come succede in ogni ricetta che abbia un minimo di successo, l’elemento principale rimane quasi inviolato, esso conserva il suo sapore fino all’ultima inquadratura.

La trama, dunque, è pressoché banale – come lo può essere la pasta al pomodoro: un’idea nota, ma di complessa realizzazione. Andy Jones (qui interpretato da Stephen Graham) ha abbandonato le cucine del suo mentore per mettersi in proprio. Il locale sembra ben avviato, i camerieri e i capisala ballano un vero e proprio valzer fra i tavoli dei clienti e il magazzino retrostante. Ma una giornata storta basta a disintegrare l’idillio: così, un innocente martedì sera prenatalizio si trasforma in una tragedia dalle proporzioni titaniche.

Ad aprire le danze è un ispettore dell’HACCP – per i meno esperti: l’igienista di professione giunto apposta per rompere le uova nel paniere e scoperchiare teglie contaminate, cibo andato a male (meglio ancora se da settimane!), frigoriferi rotti, piani cottura incrostati e così via in un girone infernale che Mr. Ramsay se lo sogna. Aggiungiamo, in seguito, l’incursione di un cavernicolo parvenue pronto a spendere mille sterline per una bottiglia di vino scadente, nonché per comprarsi il privilegio di tiranneggiare le cameriere. Cuociamo a fuoco lento. Ora, uniamo una tavolata di influencer totalmente cerebrolesi, un gruppo di americane ubriache e una dolce fanciulla dotata di allergia alle noci. Come diceva Čechov? “Se in un romanzo compare una pistola, bisogna che spari”. Beh, nel mondo della ristorazione funziona allo stesso modo: se fra i clienti compare una persona allergica ad un alimento, bisogna che qualcuno glielo serva.

Non dimentichiamoci, poi, del già citato staff – un’impeccabile banda di nevrotici, capeggiata da un aiuto-cuoco malamente represso, un lavapiatti bonario ma scansafatiche, un’apprendista francese disorientata dagli ordini (rigorosamente in cockney) dei colleghi più rodati, un cameriere-deejay tanto espansivo quanto cinico, un piccolo pasticcere con problemi di autolesionismo. Ma ad assestare il colpo di grazia sarà l’ex maestro e Celebrity Chef Alastair Skye (il Jason Flemyng di Lock & Stock), planato in sala per annientare il protagonista con il medesimo savoir faire di Carlo Cracco… davanti a chi sbaglia la cottura delle capesante.

Ma a trasformare questo strano episodio di Masterchef in una pietanza da grande schermo è, per l’appunto, la maestria con cui Barantini dirige la sua orchestra, innestando ogni personaggio dentro ad una storia e ogni storia dentro ad una sola ripresa. Nel giro di un’ora e mezza riusciamo ad assaporare diverse consistenze: dalla commedia al melodramma, dal thriller al teen-movie, ce n’è letteralmente per tutti i gusti. Dal croccante al morbido, dal dolce al salato: l’occhio della cinepresa sa dosare i suoi ingredienti, creando infine un equilibrio oltremodo piacevole. Il regista esplora le innumerevoli sfumature che l’interiezione “sì, chef” nasconde, dando modo ai protagonisti di ripetere la formula magica fino a quando essa non ha più alcun significato – o meglio, fino a quando la realtà non rimpiazza lo show. L’epilogo, infatti, non ha nulla di dolce, al contrario: dietro i riflettori, dietro alle stoviglie sfrigolanti, dietro al Pepe di Caienna e alle ostriche gratinate si cela semplicemente tanta solitudine. La quale, spesso e volentieri, lascia l’amaro in bocca.

In sala dal 10 novembre


Cast & Credits

Boiling Point – Il disastro è servito  Regia: Philip Barantini; sceneggiatura: Philip Barantini, James Cummings; fotografia: Matthew Lewis; montaggio: Alex Fountain; interpreti: Stephen Graham, Vinette Robinson, Alice Feetham, Hannah Walters, Malachi Kirby, Taz Skylar, Lauryn Ajufo, Daniel Larkai, Lourdes Faberes, Jason Flemyng, Ray Panthaki; produzione: Ascendant Films, Burton Fox Films; origine: Gran Bretagna 2021; durata: 92’; distribuzione: Arthouse/IWonder Pictures.

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