Quando nello scorso marzo si è tenuto il Festival di Berlino online non fu possibile vedere tutti i film in concorso. I produttori e i distributori tedeschi negarono l’autorizzazione alla messa in rete, seppur per sole 24 ore, di due film in concorso. In questi giorni, da Berlino, dedicheremo due recensioni a questi due film, entrambi a loro modo importanti, Nebenan (titolo internazionale Next Door), film di esordio alla regia dell’attore Daniel Brühl (l’attore protagonista di Goodbye, Lenin!), che in realtà è già passato poco più di un mese fa in Italia, al Festival di Taormina, ottenendo il duplice riconoscimento come miglior film e migliore attore (su quest’ultima cosa diremo qualcosa verso la fine); l’altro film è invece la trasposizione cinematografica di un grande classico della letteratura tedesca dell’epoca di Weimar, ovvero Fabian di Erich Kästner, romanzo uscito nel 1931, già trasposto per il cinema nel 1980 per la regia di Wolf Gremm (autore minore del Nuovo Cinema Tedesco) e adesso riproposto da Dominik Graf (1951), uno degli autori cinematografici e televisivi più importanti del cinema tedesco contemporaneo.
Ma partiamo con il film di Daniel Brühl che si avvale della sceneggiatura di un altro grande Daniel, forse il più importante dell’attuale cultura tedesca, ossia Daniel Kehlmann, l’autore del bestseller mondiale Die Vermessung der Welt, uscito nel 2005 e tradotto anche in italiano da Feltrinelli, con il titolo La misura del mondo. Kehlmann, peraltro, non è nuovo a collaborazioni con il cinema, oltre al fatto che molte delle sue opere sono state a loro volta, con risultati non sempre convincenti, trasposte per il cinema.
Kehlmann ha scritto la sceneggiatura ma, come viene esplicitamente detto fin dai titoli di testa, il film nasce “da un’idea” dello stesso Brühl, un’idea che rappresenta a tutti gli effetti un esempio quasi scolastico di autofiction, poiché si parla di un attore internazionalmente celebre che si chiama Daniel, cresciuto in un ambiente linguistico bilingue, ovvero tedesco e spagnolo (Brühl è nato a Barcellona da madre spagnola e padre tedesco), che ha recitato anche in film internazionali e vive, come Brühl con la sua famiglia, in una casa (in parte ristrutturata) del quartiere berlinese orientale di Prenzlauer Berg con ascensore privato dal cortile in una casa che spazia sui tetti di Berlino, tata ispanofona, moglie psicologa (come la moglie di Brühl).
Il quartiere di Prenzlauer Berg è per Berlino la quintessenza di quel fenomeno politico-sociologico-urbanistico che si è soliti chiamare gentrificazione; prima, all’epoca della DDR, ci abitava la piccola borghesia quando non il proletariato urbano, negli anni ’80 è arrivata la bohème, artisti squattrinati, che apprezzavano l’atmosfera un po’ délabré del quartiere, dando vita a quanto di più simile a una cultura alternativa e leggermente avversa al regime, poi dopo il 1989 sono arrivati gli speculatori, si è proceduto a una sistematica ristrutturazione, col risultato che gli abitanti originari sono stati con le buone, ma non di rado con le cattive a smammare. Se poi teniamo conto che i nuovi inquilini/proprietari sono in larghissima maggioranza provenienti dall’Ovest quando non dall’estero, e gli inquilini cacciati o, nel caso in cui la ristrutturazione dell’edificio non sia stata completa, gli inquilini rimasti/tollerati sono invece dell’Est, della ex DDR appunto, è chiaro che il potenziale conflittuale anzi esplosivo di questa situazione abitativa è semplicemente enorme.
È quanto succede a Daniel che sulla strada verso l’aeroporto (deve andare a Londra a fare un casting per un film di supereroi) commette l’ “errore” di fermarsi un attimo nel residuale bar sotto casa, che ancora ha tutto l’arredamento della vecchia Berlino (Est) a farsi un caffè come lo faceva la mamma, dopo – ovviamente – essersi bevuto un espresso a casa fatto da una macchina del caffè accessoriatissima. Qui s’imbatte in Bruno, interpretato dal semplicemente sensazionale Peter Kurth (1953, provenienza ex DDR, attore di teatro e di cinema notevolissimo, è il corpulento commissario corrotto di Babylon Berlin), che rientra appunto nella categoria suddetta, vive nella zona non ristrutturata nel palazzo, e si è trovato dopo aver subito indirettamente le angherie sopra descritte (il padre è stato cacciato con le cattive e lui ha dovuto coabitare con lui, fino alla morte del genitore) a subire le trasformazioni di cui sopra. Bruno detesta in modo primordiale Daniel, il divario politico-sociale è di fatto divenuto un divario antropologico. Una delle frasi più belle del film è quando Bruno dice a Daniel che non sopporta più le sue risate compiaciute ed esibite, le risate di chi ha avuto la fortuna di finire dalla parte giusta e solare dell’esistenza. Bruno, però, ha deciso di “studiarlo” Daniel e di farlo a pezzi: parte, molto banalmente, con un articolato giudizio dei film da lui interpretati (e qui si aprirebbe tutto un lungo discorso sulla cannibalizzazione vampiresca di autori e attori occidentali delle vicende che vedono protagonisti cittadini della ex-DDR, modello Le vite degli altri giusto per intendersi, in cui la sceneggiatura di Kehlmann rimanda a film veri e immaginari prodotto di quella cannibalizzazione) e poi, approfittando del fatto che lavora di notte in un call center addetto alla gestione dei conti bancari da bloccare in caso di perdita di carta bancomat, rivela a poco a poco che ha un controllo pressoché totale della vita personale, della vita privata di Daniel, delle sue poco raccomandabili scappatelle e anche di quelle di sua moglie, talché l’idillio ipocrita della famiglia perfetta si sfalda a poco a poco. Tutta questa vicenda, con diversi colpi di scena che non racconteremo (il premio a Taormina potrebbe farlo arrivare in Italia), è raccontata nelle forme di un Kammerspiel, svolgendosi quasi tutta nel locale berlinese, con la vecchia titolare e un avventore un po’ fuori di testa a fungere da comprimari. Si tratta di un film quasi tutto di sceneggiatura, in cui la regia si limita tutto sommato ad essere al servizio del testo, ci muoviamo in zona Carnage, giusto per capirci.
Quanto agli attori: come accadde nel 1974, quando ci fu l’unico incontro in una competizione ufficiale fra BRD e DDR, anche qui la vittoria va alla Germania Orientale, perché Peter Kurth è incomparabilmente più bravo di Daniel Brühl. Per chi non lo ricordasse: lo scontro fra le due Germanie nel giugno del 1974 finì 1:0 per la DDR, nell’anno in cui poi la Germania Federale di Beckenbauer, Müller e Breitner batté in finale gli splendidi olandesi di Johan Cruyff. Il goal della vittoria lo segnò Jürgen Sparwasser, che giocava nel Magdeburgo, al minuto 77.
Cast & Credits
Nebenan – Regia: Daniel Brühl; sceneggiatura: Daniel Kehlmann da un’idea di Daniel Brühl; fotografia: Jens Harant; montaggio: Marty Schenk; interpreti: Daniel Brühl (Daniel), Peter Kurth (Bruno), Rike Eckermann (l’ostessa), Aenne Schwarz (Clara); produzione: Amusement Park Film; origine: Germania 2021; durata: 92’.