Oylem Goylem di Moni Ovadia

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“Dio apprezza i credenti ma ancora di più gli atei e gli agnostici perché non stanno sempre lì a chiedere favori…”

Oylem Goylem (“Mondo sciocco” in lingua yiddish) scritto, diretto e interpretato da Moni Ovadia per la prima volta nel 1993 ha ben 30 anni, portati benissimo, perché nei contenuti e nella forma sembra non invecchiare, anzi, risuona ancora molto attuale, con i suoi vari aneddoti, canti yiddish, racconti divertenti (tanti) e persino barzellette.
Nella settimana dedicata alla Memoria (lo spettacolo sarà in scena fino al 29 gennaio al teatro Vascello) ” Mondo Sciocco”, unisce assieme musica Klezmer, genere tradizionale degli ebrei ashkenaziti dell’ Est Europa e tanti racconti, alcuni dei quali noti, altri meno, tutti pescati a fondo e con cura dalla memoria del popolo ebraico.
E la memoria che lentamente ricostruisce una storia complessa e dinamica, racconta di uomini e donne fotografati nell’ immediato  del loro agire quotidiano, ci parla di “gente comune, rabbini,  commercianti,  cantori,  madri ebree,  figli vessati”  colti nei loro piccoli o grandi difetti e nelle tante particolarità e uniti tutti “dalla condizione universale dell’ebreo errante, il suo essere senza patria sempre e comunque”.
Parte di quella tradizione che l’attore, cantante e scrittore italiano di origine bulgara, definisce come “il suono dell’esilio”, o  musica della dispersione, raccoglie elementi provenienti da tradizioni polacche, rumene, ungheresi, tedesche, ebraiche,” un miscuglio” indefinibile che è costantemente al centro di questo spettacolo. Oylem Goylem, infatti, colleziona e unisce brani musicali, canti e citazioni  connotandoli della giusta dose di ironia, umorismo e malinconia, con un’alternanza continua di toni e ritmi che accompagna gran parte dei racconti interpretati magistralmente dallo stesso Ovadia.
L’ autore e protagonista dello spettacolo,  accompagnato nel suo viaggio dalle piacevoli melodie del violino (Maurizio Dehò ), clarinetto ( Paolo Rocca), contrabasso (Luca Garlaschelli), Fisarmonica (Alberto Mihai), Cymbalon (Marian Serban) è capace infatti di coinvolgere il pubblico alternando continuamente  sulle tavole del palcoscenico umori, stili e colori. Perché parole e musica si uniscono creando la giusta alternanza di ritmi e note.
La Moni Ovadia Stage Orchestra, composta da cinque elementi eccezionali, a volte è coprotagonista della scena, più spesso segue  le parole dell’interprete dall’ inizio del suo percorso fino alla fine, accompagnando il pubblico anche all’ uscita del teatro. L’attore-autore,  su un palco spoglio ai piedi del quale si intravedono due o tre valigie coperte da spago, veste i panni di Simcha Rabinowicz, anziano e saggio venditore d’ ombre,  che dà inizio a un’immersione lunga due ore nella musica e nella cultura yiddish che sa di “steppa e retrobotteghe, di strade e sinagoghe”
Malinconia, desolazione, allegria e brio accompagnano l’ idea dominante dell’esilio in un percorso che sa essere sempre diverso: in alcuni momenti domina l’ allegria, la vitalità di alcuni brani e la gioia del ballo, in altri prendono vita gli aneddoti e le citazioni  fulminee, capaci di cogliere, nella loro immediatezza,  l’ istante esatto di un momento di vita quotidiana.
Il passaggio da uno stato d’animo all’altro è molto veloce: la malinconia di cui è impregnato un racconto termina e cede il passo immediatamente  a un capitolo diverso, più allegro e gioioso.
L’ alternanza di stili e la varietà, umana e stilistica è la costante di questo spettacolo, che ha i contorni di un cabaret, ma non può essere definito solo in questo modo, proprio perché è difficile racchiuderlo in una cornice stilistica che possa avere una definizione ben circoscritta.
Se la struttura è varia e alterna stili diversi, l’ossatura emotiva di Oylem Golem è immediatezza e allegria ma anche tristezza e desolazione, che non diventa mai pesantezza e autocompiacimento.
Un viaggio nella lingua e nella cultura yiddish che può appassionare lo sguardo del pubblico, proprio per il suo essere multiforme nella struttura e varia nell’ espressione: divertente, ironica, e al tempo stesso malinconica.  Illuminante e tagliata su misura per Oylem Goylem è la definizione del grande scrittore praghese Franz Kafka  a proposito della lingua yiddish:
Franz Kafka (1906)
“Lo yiddish è la più giovane lingua europea, non ha che quattrocento anni e in realtà è ancora più recente. Non ha ancora formato delle strutture linguistiche così nette come ci sono necessarie. Le sue espressioni sono brevi e nervose.
Non ha grammatica. Certi amatori tentano di scrivere delle grammatiche, ma lo yiddish viene parlato senza sosta, e non trova pace. Il popolo non lo cede ai grammatici. Esso si compone solo di parole straniere. Queste, però, non riposano nel suo seno, ma conservano la fretta e la vivacità con cui sono state accolte. Lo yiddish è percorso da un capo all’altro da migrazioni di popoli. Tutto questo tedesco, ebraico, francese, inglese, slavo, olandese, rumeno e persino latino che vive in esso è preso da curiosità e da leggerezza, ci vuole una certa energia a tenere unite le varie lingue in questa forma”
Uno spettacolo che coinvolge , appassiona, incuriosisce e soprattutto,  non invecchia mai.
Al Teatro Vascello di Roma sino al 29 gennaio

Oylem Goylem di e con Moni Ovadia; stage Orchestra: Maurizio Dehò (Violino), Luca Garlaschelli (Contrabasso), Paolo Rocca (Clarinetto), Alberto Mihai (Fisarmonica), Marian Serban (Cymbalon); Durata:120′.

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