Il primo giorno della mia vita di Paolo Genovese

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Non ho visto il penultimo film di Paolo Genovese, intitolato Supereroi ed uscito nel dicembre 2021 (su Amazon Prime dal febbraio del 2022), non ho letto il libro, omonimo, da cui è tratto l’ultimo film intitolato Il primo giorno della mia vita (Einaudi 2018), ma avevo visto (e recensito) i suoi due film precedenti, ovvero Perfetti sconosciuti (febbraio 2016) e The Place (novembre 2017). Come succede, prima di mettersi a scrivere la recensione, uno va a rileggersi quel che aveva scritto rispettivamente sette e cinque anni prima, (ri-)scoprendo notevolissime analogie.

Il film appena uscito è, in effetti, molto molto simile a quello del 2017, a The Place perché al pari di esso rappresenta non solo un apologo (come definimmo all’epoca la pellicola) ma un esperimento mentale o concettuale, traduzione del tedesco Gedankenexperiment, termine coniato dal fisico e chimico danese Hans Christian Ørsted per definire un esperimento che non si intende realizzare nella pratica ma che viene solo immaginato.

Il termine si riferisce in questo caso alla possibilità evidentemente sovrannaturale che viene data a quattro suicidi, non aspiranti suicidi, ma suicidi che quel gesto lo hanno già compiuto di ripensarci. Tempo a disposizione: una settimana, al termine della quale si dovrà decidere se cambiare idea o se ribadire la scelta fatta. Nella settimana i quattro prescelti vengono sottoposti a un training, gestito da una figura anch’essa con tutta evidenza soprannaturale (interpretata da Toni Servillo), a proposito della quale come sul protagonista di The Place si appuntano le più diverse congetture dello spettatore: Dio in persona sceso a miracol mostrare? Un angelo? Un Mefistofele perversamente benigno? Solo da ultimo verrà in qualche misura risolto l’enigma.

Il paragone con un Mefistofele benigno è forse il più calzante perché in questo film si parla di anedonia, di felicità, di desiderio di felicità, quel “Pursuit of Happiness” che la Costituzione Americana dichiara come una legittima ambizione non solo del soggetto ma addirittura dello Stato. Il Mefistofele di Genovese è in realtà molto sobrio, non garantisce ai frequentanti del suo stage una futura felicità, ma cerca di riaccendere in loro la fiamma di una felicità potenziale, di frammenti, barlumi, lacerti di felicità, Goethe lo avrebbe chiamato Streben, attraverso un itinerario, va pur detto, piuttosto casuale e non tramite un programma con una struttura a climax, se è vero che quasi subito si gioca quella che sembra essere la sua carta migliore, ovvero dei brevissimi trailer in una sala cinematografica diroccata con la prospezione di che cosa potrà essere il loro futuro, se al termine del training decideranno di cambiare idea.

Sara Serraiocco (e Toni Servillo)

La scelta dei partecipanti al training cade su una poliziotta che ha perso una figlia (Margherita Buy), su una ex ginnasta con un palmarès di tutto rispetto nei campionati europei, mondiali, Olimpiadi ma con la sindrome dell’eterna seconda, che adesso “si aggira” su una sedia a rotelle (Sara Serraiocco), un ragazzino obeso che, spinto da genitori impossibili, è divenuto una star del web divorando enormi quantità di cibo e postando i relativi video su YouTube (Gabriele Cristini) e un comunicatore-guru che in sale gremite cerca di rimotivare gente in crisi attraverso messaggi dal vago sapore new age, solo che a furia di rimotivare si è demotivato lui, fino a compiere il gesto estremo, una figura che per certi aspetti rappresenta una mise an abyme del Mefistofele benigno. Questo personaggio, sicuramente il più complesso, è interpretato dal fido Valerio Mastandrea (presente sia in Perfetti sconosciuti che in The Place), ormai specializzatosi in ruoli di uomo di mezz’età depresso, tendenzialmente anaffettivo e cinico.

Ovviamente non rivelerò gli esiti del training, ma dirò alcune poche cose sul contenuto e sulla forma di questo film, nell’insieme un po’ troppo lungo. Partiamo dal contenuto. Mi sembra che Genovese individui due macro-categorie di (aspiranti) suicidi, i suicidi post-traumatici e i depressi, la riattivazione dello Streben verso brandelli di felicità è forse possibile nei traumatizzati, si tratta “solo” di riposizionare la libido su un diverso soggetto, assai più arduo appare il compito per gli individui depressi, perché nel loro caso la libido, la voglia di vivere non c’è mai stata, sembra impossibile riattivare un “organo” che non ha mai funzionato, chissà forse solamente un trattamento farmacologico potrebbe attenuare la consapevolezza di quella che Giacomo Leopardi chiamava “l’infinità vanità del tutto”. Ciò detto, non convince affatto nello sviluppo del film la creazione quasi istantanea di una community fra i quattro frequentanti, una community sostitutiva e risarcitoria di quella che nelle loro vite precedenti non avevano (mai? più?) avuto. Non convincono nemmeno alcune condizioni d’ingaggio per i partecipanti al training: non si mangia, non si beve (ma si fuma), poi però un giorno si mangia e si beve, i partecipanti che vivono in questo limbo provvisorio non sono visibili agli altri esseri umani viventi, ma poi invece un giorno lo sono etc. etc.

Sul piano formale il film, ambientato a Roma (in origine Genovese avrebbe voluto girarlo a New York), è qua e là piuttosto stucchevole, con un uso decisamente esagerato delle plongées, a documentare una prospettiva metafisica, che è chiara fin dall’inizio e che non ha bisogno di essere continuamente ribadita. Gli attori e le attrici sono tutti bravi, ma, come dire, lo sapevamo già.

In sala dal 26 gennaio


Il primo giorno della mia vita – Regia: Paolo Genovese; sceneggiatura: Paolo Genovese, Paolo Costella, Rolando Ravello, Isabella Aguilar; fotografia: Fabrizio Lucci;  montaggio: Consuelo Catucci; interpreti: Toni Servillo, Margherita Buy,  Valerio Mastandrea, Sara Seraiocco, Gabriele Cristini, Giorgio Tirabassi, Lino Guanciale, Antonio Gerardi, Lidia Vitale, Vittoria Puccini, Elena Lietti, Thomas Trabacchi, Davide Combusti; produzione: Lotus Production; origine: Italia 2023; durata: 121′; distribuzione: Medusa Film.

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