PerSo 2023 (Perugia, 30 settembre – 8 ottobre): Radiograph of a family di Firouzeh Khosrovani

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Tra l’Iran-oriente e la Svizzera occidente, due mondi altri che si intersecano tra di loro in uno spazio e in un tempo declinati secondo il flusso delle emozioni, delle percezioni e dei ricordi, prende forma e sostanza Radiograph of a family della regista iraniana Firouzeh Khosrovani (appena presentato al Festival “PerSo – Perugia social film”) , che racconta la storia d’amore dei suoi genitori: la madre Tayi appartenente a una famiglia devotamente musulmana di Teheran e il padre Moussio (così teneramente chiamato dalla donna nella storpiatura del francese Monsieur), già emigrato a Ginevra per studiare radiologia, proveniente da una famiglia liberale e laica rispetto alla forte impronta religiosa del paese d’origine.

Una relazione che include già in sé una dicotomia, uno sdoppiamento, una polarità; attratti nella spontaneità e nella giovinezza di un tempo estivo di vacanza, ben presto si pongono delle questioni identitarie rispetto alla trasformazione che quel movimento sentimentale ha provocato in loro. Un interrogativo che riguarda soprattutto lei, in quanto soggetto femminile costretto ad aderire ad un modello o all’altro e per la quale interrogare i limiti e le possibilità della legge scritta nel Corano per adempiere degnamente al suo ruolo di moglie e di madre, appare speculare al marito che le suggerisce il modo di comportarsi e di parlare per essere donna in un contesto socio-culturale occidentale .

Ma anche questo stato delle cose avrà il suo contrappasso, quando, una volta tornati entrambi nell’Iran attraversato dai moti della rivoluzione di Khomeini, Tayi si farà ascetica e devota guerrigliera, rindossando lo chador che le era stato chiesto di togliere e affermando una condizione incomprensibile al marito che si cristalizzerà , sostituendosi ai preziosi oggetti di decor troppo occidentale del salone eliminati dalla moglie, nel suo involucro di straniero in patria, finanche dentro la sua stessa casa.

Tutto questo denso accadere di capovolgimenti, dissociazioni e fratture trova nel found footage degli home movies famigliari e delle foto della regista , a cui fanno da contesto storico e politico incredibili e inediti filmati d’archivio della televisione svizzera ed iraniana, l’ espressione più vivida ed emozionante, di un vissuto che è accaduto e che ora viene (ri)visitato alla ricerca di un (possibile) senso. Lo spazio-casa, che si manifesta nel piano sequenza frontale realizzato nel presente del grande salone (una ripresa che intervalla e interpunta i vari momenti del racconto), possiede in sé l’ ambiguità polisemantica di un luogo che è pervaso del gusto per la bellezza e per l’arte e dal caloroso amore paterno, ma anche a un certo punto dall’austera privazione della militanza politica materna. Una dinamica di pieni e di vuoti dove l’ immaginario di una figlia che cerca di alzare il volume della propria infanzia e ricordare/ricostruire i dialoghi che si scambiavano fino alla soglia della camera da letto i suoi genitori (con una sfumatura naif nel linguaggio compensata dalla struggente dolcezza delle voci dei doppiatori) viene proiettato sulla grana sbiadita dei fotogrammi, ma non per confermare o sconfermare il pre-costituito pensiero di chi vuole trovare risposte o giustificazioni .

Non c’ è la pretesa di rivendicare o di giudicare, né la nettezza di una rabbia, quanto lo spaesamento di un sentire estraniato alla ricerca di una propria voce e di una propria coscienza nel mettersi in ascolto di più voci e di più coscienze .La necessità di far emergere, dal fondo di quella stanza sulla cui parete si staglia infine la cornice di una fotografia (e certo, per chi riuscirà a vedere il film, capirà perché proprio quella…) un frame perduto e ritrovato, attraverso il progressivo avvicinamento dell’ occhio/inquadratura nel delineare la figura di un abbraccio e di una felicità.

Da questo punto di vista, spinto al di là di un muro e dietro una sovraimpressione o dissolvenza, anche la distanza da una madre che può riappropriarsi della sua possibilità di vedersi e di essere vista nell’adesione radicale ad una causa collettiva (letteralmente, nella manifestazione tangibile e testimoniale dell’album fotografico “tutto per sé “, dov’ è ritratta fiera e determinata insieme alle altre donne guerrigliere, dopo essere precedentemente apparsa nelle rassicurante innocuità domestica foto di parenti & amici) , è messa in itinere a più livelli del viaggio: il risveglio dall’ incubo /ossessione di una scelta così estrema e pericolosa da rasentare la morte, almeno nei sogni di una bambina.

L’apparizione di quella madre davanti alla mdp della figlia ormai adulta che la filma nella sua realtà di donna musulmana alla quale ora può permettersi di passare il Corano. L’evocazione fantasmatica e onirica della perdita che nel tempo è diventata corpo a corpo, anzi sguardo a corpo, tra due donne sotto il segno di una comprensione e di una delicatezza. Il tono scommesso, sussurrato, davvero privato si traduce nella pratica scrupolosa di reperimento e scavo delle fonti, vagliando in lungo e in largo il genogramma familiare, e al tempo stesso ne indica la volontà di seguirne una direzione ancora più intima e più segreta, senza la presunzione di svelarne un mistero, di ricomporre forzatamente il puzzle nella compiutezza di un ritratto.

La stessa immagine-locandina del film è composta dai ritagli di fotografie e disegni raffiguranti una Tayi a pezzi, short cuts di un volto/anima e di un apparire/essere che potrebbero ulteriormente scomporsi e ricomporsi in altre versioni di donne esistite ed esistenti. Una decostruzione fino all’ osso riflesso nel controluce di una radiografia , il settimo velo che sta dietro ad ogni mascheramento e rimozione e porta alla luce lo scheletro di una prima persona singolare ancora da declinare, forse non più lost ma sicuramente ancora in translation.


Radiograph of a Family  – Regia e sceneggiatura: Firouzeh Khosrovani; fotografia: Mohammad Reza Jahanpanah; montaggio: Farahnaz Sharifi, Rainer Trinkler; musica: Peyman Yazdanian; produzione: Antipode Films; origine: Iran/Norvegia/ Svizzera, 2020; durata: 81’; distribuzione: ZaLab .

 

 

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