In Blow out del 1981 un giovane John Travolta catturava i suoni con uno strumento di registrazione e finiva dritto dritto per registrare una pistolata diretta a un auto in corsa, con intrigo politico conseguente. In Jacky Caillou (tit. int. The Strange Case of Jacky Caillou) il protagonista ricerca onde sensibili con un apparecchio non troppo differente e finisce a ridosso della stanza della nonna: lì dentro sta avvenendo qualcosa, ed è qualcosa che non si può né udire né vedere. Almeno nell’istante in cui avviene. Ne esce un film che tenta la contaminazione di due generi, rurale e fantastico, con protagonista un ragazzo alle soglie della maturità. La regia è attenta ai dettagli e citazioni – belle alcune inquadrature e scene -, mentre la storia alla lunga perde d’intensità, forse per un mito – quello della licantropia – che ha fatto il suo tempo.
Si diceva di un ragazzo, Jacky Caillou, che ausculta i ventricoli di una casa, sino a una porta. Dietro la porta c’è la nonna, una guaritrice, pagata dagli allevatori a uova e coca cola, e i due vivono in mezzo alle montagne francesi, tra valli a picco, facce bruciate dal sole e pecore depresse. Un giorno si presenta alla nonna una giovane. Elsa presenta una macchia sulla schiena e vuole essere guarita. Jack la osserva e vorrebbe imparare l’arte della guarigione, ma la nonna lo avvisa:
Non cercare miracoli, non esistono!
Jack ascolta i consigli della parente e inizia l’apprendistato, ma un giorno nelle valli iniziano ad avvenire fatti strani: le pecore sono sbranate da una lupo, un corvo viene guarito da Jack, la nonna muore all’improvviso ed Elsa torna per farsi curare. La macchia non c’è, ora c’è del pelo.
Jacky Caillou è opera prima di Lucas Delangle e il regista fa un bel lavoro di inquadrature, rispettoso dei manuali del cinema, con un paio di soluzioni citazionali che non rimangono legate alla citazioni ma ben si adattano al film. Le riprese dell’ambiente alpino sono anch’esse efficaci e vanno oltre il rischio cartolina o documentario, che è dietro l’angolo nel momento in cui l’inquadratura si allarga. Si rimane invece tra prati e pecore, con una fotografia forte negli interni, meno definita negli esterni. La costruzione di alcune scene come alcuni movimenti di camera sono buoni, anche se a tratti scolastici. Stesso discorso per il soundtrack. È invece nella trama che il discorso si fa più complesso.
Il tentativo è quello di mescolare un genere, il superamento della linea d’ombra di un giovane in quell’ambiente, con quello fantastico, e la linea d’ombra propria della pellicola si trova proprio, nel passaggio da un genere all’altro. Finché si rimane sul primo genere la pellicola funziona e interessa, poiché interessante è la relazione che Jacky ha con questo potere o non-potere da guaritore che geneticamente gli apparterrebbe: lui è un ragazzo in cerca di se stesso in mezzo a valli desolate, e non è materia narrativa di poco conto. Nel momento in cui il filo fantastico s’innesta alla vicenda reale e ci si ritrova nell’ambito licantropo, con amore travagliato al seguito, la materia narrativa si raffredda perché si ritorna nel già visto e così nel già detto.
Jacky Caillou è una pellicola buona, forse un po’ scolastica. Alcune inquadrature meritano il prezzo del biglietto, come alcune scene costruite con senso e con visione, nonché la capacità di non cadere nella trappola del paesaggio; come si dice in Otto Montagne: “voi chiamate questo posto natura, ma io vedo un fiume” e qui noi vediamo fiumi. Meritevole nella prima metà, meno nella seconda, ci ricorda come il mondo non sia un posto poi così facile per crescere, sia per chi è totalmente sano, sia per chi è metà lupo, soprattutto durante quella pazza età chiamata maturità nel quale si rileva il lato più oscuro e più lucente di noi. Il fascino della licantropia dopotutto non tramonta mai. A proposito, si può dire che il cinema abbia la natura del lupo. Perde sì il pelo, ma non il vizio.
Al Nuovo Sacher di Roma sabato 1 aprile, ore 19
Jacky Caillou (The Strange Case of Jacky Caillou)– Regia: Lucas Delangle; sceneggiatura: Lucas Delangle, Olivier Strauss; fotografia: Mathieu Gaudet; montaggio: Clément Pinteaux; musica: Clément Decaudin; interpreti: Thomas Parigi, Edwige Blondiau, Lou Lampros, Jean-Louis Coulloc’h, Romain Laguna, Georges Isnard, Sivan Garavagno, Jean Marc Ravera; produzione: Les Films du Clan, Micro Climat; origine: Francia, 2022; durata: 92’.