Sempre più bello di Claudio Norza

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Una decina di anni fa Jason Reitman realizzò una caustica e amara commedia intitolata Young Adult in cui Charlize Theron interpretava una scrittrice di romanzi per adolescenti alcolizzata e depressa, in bilico tra la ferocia e il patetico. E Young adult è appunto il nome concepito per uno specifico genere letterario che si rivolge ai ragazzini tra i 12 e i 18 anni, ovvero quel periodo della vita in cui si sta uscendo dalla giocosa vitalità dell’infanzia  e si comincia ad entrare negli stupori e nei tremori della pubertà, per poi approdare ai primi fremiti e alle pulsioni di una maturità sempre più precoce. Un organismo turbolento e dinamico incasellato e ridimensionato in un target a cui poter vendere l’immaginario preannunciato all’epoca dal nunzio della pop art Andy Wahrol , in cui ormai da tempo non è più solo il volto di Marilyn Monroe ma anche quello di una Marta qualsiasi a poter essere replicato all’infinito nella cameretta di ogni piccolo fan, con  il plusvalore di un processo di identificazione diretto e immediato e  l’imperituro avverarsi della più celebre profezia dell’artista americano : “nel futuro ognuno sarà famoso per 15 minuti” ( 15 secondi nell’attualità dei social network).

Da questa premessa un po’ effimera e programmatica nasce l’ultima serie di film originata da Sul più bello, romanzo scritto dalla diciannovenne Eleonora Gaggero, perfettamente ascrivibile al sopracitato genere Young adult, anche se l’autrice in questione non ha certo i tratti crepuscolari e auto ed etero distruttivi della ghost writer rappresenta nel film di Reitman, ma l’immagine rassicurante della ragazzina prodigio che tiene insieme immagine e contenuto, leggerezza e impegno, buoni sentimenti e un po’ di spirito dissacrante. Tutto pensato e realizzato con la consapevolezza di parlare a un pubblico che, in particolare in questi due eterni e non terminati anni di reclusione pandemica, ha particolarmente pagato sul piano dell’isolamento e della privazione relazionale, e ha la necessità di un nuovo immaginario fatto di calore, contatto e fiducia in un futuro non remoto e minaccioso, ma vicino e possibile.

Inevitabile dunque che la storia di Marta (Ludovica Francesconi), sulla soglia dei vent’anni, non particolarmente attraente, orfana di genitori e perdi più malata di fibrosi cistica, delle sue disavventure sentimentali e di quelle di Jacopo e Federica, la sua famiglia alternativa di amici entrambi omosessuali (la scanzonata spensieratezza di questo legame è una delle cose più convincenti), non coinvolgessero e creassero un senso di appartenenza e di comunità intorno a loro, tanto da guadagnarsi lo status di  piccola saga cinematografica (che probabilmente diventerà anche una web serie, visto il coinvolgimento di Amazon Prime).

Sempre più bello è il terzo capitolo ad uscire nell’arco di due anni dopo Sul più bello diretto da Alice Filippi nel 2020 e Ancora più bello del 2021, diretto da Claudio Norza che è stato confermato dal produttore-sceneggiatore Roberto Proia, vero metteur en scene di tutta l’operazione, anche per quest’ultimo film.

Ci troviamo di fronte a dei codici narrativi ed estetici molto collaudati dove sarebbe frustante  approcciarsi con la stessa aspettativa di ogni qualvolta si attendeva scalpitanti un nuovo capitolo del cineromanzo biografico di Antoine Doinel, l’ater ego attraverso cui Francois Truffaut, dai 400 colpi (1959) in poi, ha cercato  e restituito un nuovo sguardo fatto di inquietudine e tenerezza sull’adolescenza che, nel corso del tempo, si cala in una livida maturità, senza perdere la grazia. L’evoluzione di Marta e del suo microcosmo a pastelli , più che da un’ispirazione profonda e autentica, è generata da un succedersi di situazioni un po’ ripetitive con la calibrata alternanza  tra l’ordinario (la prima convivenza, l’acquisto di una casa, il desiderio di genitorialità) e lo straordinario ( le complicazioni di un trapianto di polmoni, la ricostruzione di relazioni familiari lacerate) e l’equivalente andirivieni tra un tono brillante e fiabesco e qualche affondo melò, come la presenza della morte continuamente evocata e sempre rimandata.

C’è, questo è vero, un ragionamento , che è cosa ben diversa da una poetica, sul linguaggio con cui raccontare questo campionario  di cartoline di una generazione che vuole i suoi turbamenti diluiti sulla superficie di un oggetto di design; e  il risultato, più apparente che sostanziale, è una sintesi ammiccante tra lo spirito de Il favoloso mondo di Amelie, di cui Marta porta l’iconico caschetto e la protagonista Ludovica Francesconi replica la carineria di faccette ora imbarazzate ora birichine,  e le forme e i colori di  una scintillante estetica alla Wes Anderson, senza quell’ingombrante patina intellettual-newyorkese. Chiaramente, e per fortuna, non c’è quella stessa tensione autoriale, ma una tendenza  a rimanere sui binari sicuri di una direzione  che non può essere smarrita dal mettere troppa carne sul fuoco fatuo del black mirror di uno smartphone.

Ci sono i messaggi da veicolare, quelli “giusti”: il coraggio di vivere la vita fino in fondo a qualsiasi condizione, la famiglia come luogo in cui ci si sceglie, l’importanza di perdonare e di perdonarsi, i pericoli del cyberbullismo e dell’abuso e della circolazione delle immagini. Bisogna insomma mantenere vivo l’interesse per il meccanismo  che comunque riesce a conservare una certa eleganza e una fattura non spregevole nel confronto con l’incanto meno artefatto di equivalenti dramedy anglosassoni (da Colpa delle stelle  a Io prima di te), ma che riscatta, con intelligenza e una maggiore padronanza dei proprio mezzi espressivi, il baratro nazional-popolare di una precedente epopea sentimental-giovanile, Tre metri sopra il cielo e Ho voglia di te, dai romanzetti uso e consumo di Federico Moccia (che di anni ne aveva  un po’ più di 19 quando li scrisse…).

In questo Sempre più bello la parte drammatica non è peraltro solo nell’ennesimo match di Marta con la sua malattia ereditaria, ma anche nel rapporto con la nonna che la crebbe pur non volendola e che si presenta per la scena madre al capezzale: interpretata dall’attrice en travesti Drusilla Foer, con una bella intuizione  sull’identità affettiva di ogni legame, questo personaggio e l’annessa dinamica che genera  rimangono opachi e sprecati nel loro potenziale, relegati al margine di un climax svuotato perché abusato, con la Foer, talmente riconoscibile  per via della sua strepitosa e strepitante presenza in video monologhi alla Franca Valeri 2.0 su internet, da risultare poco credibile in qualsiasi altro contesto dove non fa se stessa.

Sembra più il franchinsing  per un prodotto appetibile a un pubblico trasversale soprattutto dal punto di vista della fruizione, in barba a un necessario spessore drammatico (siamo prima utenti del web che nonni e nipoti). Insomma, forse abbiamo ceduto alla tentazione di guardare con il disincanto da making off del personaggio della Theron in Young Adult sui perché e i percome di un genere, perdendo di vista il pigro piacere di un giovane  del presente, che invece di andare a cercare il mare con i suoi occhi , si accontenta del panorama offerto dalla prospettiva virtuale di uno schermo oltre il proprio ombelico.

In sala il 31 gennaio e il 1 e 2 febbraio


Sempre più bello– Regia: Claudio Norza; sceneggiatura: Roberto Proia e Michela Straniero ; fotografia: Emanuele Pasquet; montaggio: Claudio Semboloni; interpreti: Ludovica Francesconi, Giancarlo Commare, Gaja Masciale, Jozef Gjura, Drusilla Foer, Jenny Denucci, Riccardo Niceforo, Diego Ginagrasso; produzione: Roberto Proia per Eagle Picture;  origine: Italia, 2022; durata: 104’; distribuzione: Eagle Picture.

 

 

 

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