Mi fa paura che esista un cavaliere che non esiste!
Non la mostra la faccia a Carlo Magno e non la mostra perché sotto la visiera non c’è nulla. Lui è forza di volontà, fede e nome: Agilulfo Emo Bertrandino dei Guildiverni etc etc. Tra i rozzi paladini è l’unico dall’armatura bianca e immacolata, non sozza di polvere e sangue. La sua pacatezza stride con la frenesia di Rambaldo di Rossiglione – giunto al fronte per vendicare la morte del padre –, la forza di Bradamante – guerriera dalla pervinca criniera – e l’insensatezza di Gurdulù, assegnatogli scudiero dall’imperatore:
Non è curioso?
Uno sa di esserci, ma in realtà non c’è. L’altro c’è, ma non sa di esserci.
Tra combattimenti comici e inseguimenti d’amore la guerra ai saraceni prosegue senza problemi, ma durante un banchetto il giovane Torrismondo mette in dubbio l’onore di Agilulfo. Sofronia, la vergine salvata dal cavaliere dall’armatura bianca, vergine non era e la prova è Torrismondo medesimo: Sofronia è sua madre, unitasi con i cavalieri del Graal. Agilulfo parte così alla volta dell’Inghilterra per salvare l’onore, Torrismondo alla volta dei cavalieri del santo Graal per farsi riconoscere come figlio dell’ordine tutto, Bradamante insegue Agilulfo perché innamoratasi e Rambaldo insegue Bradamante perché innamorato a sua volta. In gioco c’è onore e dignità, ma anche il nome, perché quando non si ha corpo, salvare il nome è la priorità per non scomparire.
Nel centenario di Calvino, Il cavaliere inesistente per la regia di Tommaso Capodanno arriva al Teatro India e lo fa con uno spettacolo capace di trasporre Calvino dalle pagine del romanzo del ’59 al palcoscenico dell’oggi (adattamento di Matilde D’Accardi). Non è poco, è un merito riuscire nell’intento. Ci si affida al teatro nella sua essenza più artigianale e essenziale, quindi puntando sulla bravura delle interpreti e ottenendo in cambio una performance efficacissima. Loro quattro – Francesca Astrei, Maria Chiara Bisceglia, Evelina Rosselli, Giulia Sucapane – creano una pluralità di personaggi e situazioni che restituiscono l’anima calviniana agli spettatori, fatta di leggerezza intellettuale e ripiegatura ironica. Lo fanno recitando, cantando, variando tra i dialetti, correndo da una parte all’altra, abbandonandosi ai personaggi, realizzando quadri e scene, prendendo gli oggetti di scena per diventare altro e poi mollandoli per divenire altro ancora. E soprattutto, senza mai perdere un ritmo che rimane costante per le quasi due ore dello spettacolo, strappando risate e applausi alla platea.
Per questi motivi, Il cavaliere inesistente è uno spettacolo che deve essere visto. È raro vedere un teatro fatto così bene utilizzando l’arma principe dello stesso, al contempo la più difficile da avere a disposizione: bravura, volontà e professionalità degli attori. In questo caso, attrici. E un regista che lascia loro campo.
In una scenografia composta da fitto sottobosco, appare Agilulfo nelle sue vesti da fantoccio: enorme manichino di sola armatura bianca, si aggira per la scena tra corone d’imperatori, spade e scudi, elmi alati, abiti da concubina, e i corpi nonché voci delle attrici che si piegano di volta in volta a dare vita all’ennesimo personaggio. Lui, Agilulfo, cerca di difendere il proprio nome, come la narratrice Suor Teodora cerca le parole per scrivere la storia.
Entrambi, insomma, cercano le parole e affidano la loro esistenza a esse. Calvino rappresenta in tal modo un periodo letterario, nonché umano tutto (post seconda guerra mondiale), nel quale alla realtà è preferito il linguaggio: ogni cosa prima di essere, è infatti nominata. Due decenni dopo, lo scoprì sulla propria pelle il giovane Adso ne Il nome della rosa di U. Eco (1980), quando della donna amata gli restava tra le mani ben poco:
La rosa rimane solo nel nome, noi possediamo soltanto nomi nudi.
Come Adso, che avrà solo memoria e nome della donna, anche Agilufo è aggrappato a un nome, il proprio:
Non ho più nome, non mi vedrete più.
Ma con Calvino siamo ancora agli inizi, siamo ancora nel ’59, e la parola non ha completamente preso il sopravvento sulla realtà e perciò la parola non è ancora inflazionata. Allora si può ben dire, speranzosi:
Anche ad essere s’impara… abbiamo imparato anche noi!
La parola come un piolo, quello di una scala.
O come un’armatura, bianca, da indossare sopra il nulla.
Dal 4 al 17 dicembre al Teatro India, Roma.
Il cavaliere inesistente di Italo Calvino; regia: Tommaso Capodanno; adattamento: Matilde D’Accardi; scenografia: Alessandra Solimene; interpreti: Francesca Astrei, Maria Chiara Bisceglia, Evelina Rosselli, Giulia Sucapane; foto di scena: Claudia Pajewski; produzione: Teatro di Roma – Teatro Nazionale.