Faraoni, selvaggi e principesse sono, com’è noto, gli abitanti del cinema da mille e una notte autografato Michel Ocelot. Per i pochi che non ne avessero ancora sentito parlare: Ocelot è, nell’universo animato francese, una sorta di Walt Disney sotto copertura. È attraverso la sua tavolozza che, a partire dagli anni ’90 del vecchio secolo, l’Europa inizia a prendere le distanze dai Blockbuster statunitensi quali La bella e la bestia, Mulan o le innumerevoli “Toy Stories” rigorosamente targate Pixar. Oggi, a circa un ventennio di distanza da quell’età dell’oro a cui gli (ex?) bambini di un tempo ripensano con nostalgia, il regista e illustratore ritorna con un nuovo lungometraggio tutto incantesimi, filastrocche e formule magiche: Il Faraone, il Selvaggio e la Principessa è una scatola cinese delle meraviglie, un vaso di Pandora in grado di trasportarci dall’antico Egitto al Medioevo dei Fratelli Grimm, per confluire nelle corti settecentesche in cui gli aristocratici sognavano La Mecca e le sue delizie.
Per meglio gustare questa prelibata fiaba su pellicola, occorre abbandonarsi ad una piccola digressione, così da educare il palato di chi invece pasteggia più volentieri con altri generi: Michel Ocelot è l’autore di Kirikù e la strega Karabà, l’enigmatico romanzo di formazione che il folklore africano recò in dono agli occidentali nell’ormai lontano 1998. Tale anno rappresenta, per il nostro continente, un vero e proprio giro di boa: nel corso del decennio successivo, difatti, nuove favole e nuove visioni germoglieranno sul grande schermo. Il critico e scrittore Richard Neupert parlerà, nei suoi saggi, di Renaissance: in effetti, è a partire dalla penna di Ocelot che l’animazione europea si rigenera, esplorando vie ancora sconosciute. Così facciamo la conoscenza di Sylvain Chomet, che debutta in sala con le sue Triplettes de Belleville (2003), un racconto d’avventura in pieno stile “vecchia scuola” – sia per i suoi protagonisti (la caricaturale tripletta composta da Django Reinhardt, Josephine Baker e Fred Astaire), sia per il tratto “sporco” e la bidimensionalità quasi rétro che contraddistingue le immagini.
Fra il 2007 e il 2008, tali fantasie perdono la proverbiale innocenza, acquistando una maturità inedita: è il caso Marjane Satrapi e Ari Folman (quest’ultimo, fra l’altro, riemerso di recente con la sua Anna Frank), due voci fluttuanti nell’oceano che intercorre fra Est e Ovest. Le illustrazioni di Satrapi e Folman sono illustrazioni di confine, sospese al limite di due mondi solo in apparenza distanti – quello mediorientale e quello “euroamericano”, entrambi rimasti tragicamente sfregiati dall’undici settembre.
Ora, Michel Ocelot di frontiere (e di trucchi per valicarle) se ne intende: la sua mano è una mano viaggiatrice, capace di allungarsi fra l’Africa, l’Oceano Pacifico e Parigi. È, ad esempio, proprio nella metropoli delle metropoli che l’orfana franco-canaca Dililì incontra il suo destino, svelando i misteri della Ville Lumière con l’aiuto di Toulouse Lautrec, Sarah Bernhard e delle sculture che August Rodin dissemina per la città (stiamo parlando, naturalmente, della fiaba fin de siècle Dililì a Parigi, 2018: consigliatissimo, N.d.R.).
Torniamo dunque al punto di partenza, ovvero a Il Faraone, il Selvaggio e la Principessa con cui il regista rientra in scena dopo una lunga assenza. Si tratta di tre storie, o meglio, di tre porte spalancate su galassie fra loro distinte: la prima vede un giovane re egiziano scalare la piramide sociale e spirituale che lo dovrebbe condurre verso l’età adulta – nonché verso l’amata… e, come tradizione esige, futura sposa. La seconda finestra, invece, si apre sui pinnacoli goticheggianti e fioriti del basso Medioevo: qui un nobile fanciullo, preso da umana pietà, libera un prigioniero, scappa nella foresta e si trasforma in fauno, per poi riscattare il suo regno dalla tirannia dell’austero padre. La terza novella, infine, si svolge oltre le sponde del Mediterraneo, e vede un giovane venditore di ciambelle salvare una principessa dalla claustrofobica reggia in cui è imprigionata.
Mai, nemmeno per un istante, dimentichiamo la nostra posizione: ci troviamo dentro una fiaba, o meglio, dentro una tripletta di fiabe. A regnare sovrana è la voce di una narratrice, intenta a plasmare i suoi racconti da un pulpito esterno – un espediente, questo, in tutto e per tutto boccaccesco. Ad ogni aneddoto, l’universo circostante si trasforma, assumendo le sembianze dei suoi protagonisti: l’antico Egitto, ad esempio, è immortalato esclusivamente di profilo, attraverso una serie di geroglifici. Il castello da Bella addormentata nel bosco che fa da sfondo al secondo episodio assomiglia ad un variopinto teatro di marionette: al suo interno, le figurine si muovono in controluce, quasi fossero ombre cinesi. Ma è soltanto nell’ultima storia che Michel Ocelot torna a casa – almeno, così ci pare: l’intera vicenda, che in tal caso vede due ragazzi emanciparsi dal proprio fato e affrontare insieme il cammino della vita, sembra quasi ricoprire il ruolo di epilogo. In essa ritroviamo tutti gli elementi favolistici già citati in precedenza: il tratto monodimensionale dei personaggi, gli ostacoli di cui è costellata la strada verso l’età adulta, la ripetizione che scandisce il tempo del mito, gli arabeschi che popolano l’immaginario infantile.
Al termine, ci resta ben poco da aggiungere: è l’effetto delle fiabe – quelle, ben inteso, “raccontate come si deve”. Ora dopo una certa attesa, arriva nelle sale italiane con la benemerita Movie Inspired.
Passato in anteprima italiana negli “Eventi speciali” di Alice nella città (Festa del Cinema di Roma 2022)
In sala da 14 dicembre 2023
Cast & Credits
Il Faraone, il Selvaggio e la Principessa (Le Pharaon, le Sauvage et la Princesse); Regia: Michel Ocelot; sceneggiatura: Michel Ocelot; fotografia: Yuki Kawashita; montaggio: Valentin Durning; voci: Aïssa Maïga, Oscar Lesage, Claire de la Rüe du Can, Serge Bagdassarian, Didier Sandre, Michel Elias, Patrick Rocca, Bruno Paviot, Annie Mercier, Gaël Raës; produzione: Nord-Ouest Films, in coproduzione con Studio O, Artémis Productions, Les Productions du Ch’Timi e Musée du Louvre; origine: Francia, Belgio 2022; durata: 83’; distribuzione: Movie Inspired.