La giraffa
Attesissimo, osannato, praticamente una liberazione. Preceduto da una campagna mediatica forse senza precedenti, in grado di amplificarne il successo già settimane prima dalla messa in onda, la prima stagione di The last of us – adattamento televisivo della saga videoludica pietra miliare della Naughty Dog – rappresenta, prima di tutto, il nuovo campione nell’arena della HBO, che segue e si pone l’obiettivo di moltiplicare i fasti – produttivi e, soprattutto, di ascolti – della generazionale Game of Thrones.
Al netto di ogni considerazione strettamente analitica, bisognerebbe chiedersi quale contributo è in grado di apportare all’immaginario collettivo un franchise già elevato a stato di cult, nella sua accezione primigenia di videogioco: sarebbe sciocco negare la grandezza e la complessa portata anche “cinematografica” del capolavoro della Naughty Dog, che ha sdoganato una volta per tutte alle masse di videogiocatori un nuovo modello di intendere la storyline interattiva – una sorta di scarto irreversibile verso un modello produttivo perfino preso come esempio e addirittura rinvigorito da quel genio di Hideo Kojima con il suo Death Stranding. Perché farne, allora, una seria tv? La risposta – la prima e più immediata, per lo meno – appare scontata… Allora, vale chiedersi, cosa lascia agli spettatori questa prima stagione di The last of us?
Certamente una visione spettacolare, per portata produttiva e intrattenimento di genere. Siamo di fronte a un survival-horror che sostanzialmente non apporta nulla di nuovo da quanto già assimilato in diversi altri prodotti simili: cambia l’ambientazione, i connotati dell’oggetto della storia, ma il senso resta quello di sopravvivere e, nel nostro caso, quello di guardare con meno insistenza al passato, semmai far tesoro di quanto vissuto, per rinnovarsi e vivere un presente e un futuro rinvigoriti da emozioni e sentimenti nuovamente vivi e pulsanti. The last of us è esattamente questo: una storia di redenzione personale. E in questa prima stagione vengono gettate le fondamenta per un’odissea sicuramente ardita, una strada tortuosa verso l’inferno e la conseguente risalita, in un mondo chiaramente alla deriva, alla ricerca di quanto di buono è rimasto. Nulla di nuovo – per ora -, ma la caratura è degna di un fastoso e intenso romanzo d’introspezione, modulato su ritmi perfettamente bilanciati tra azione e afflato sentimentale.
Il grande successo è senza dubbio alimentato da un cast di protagonisti efficace e ottimamente selezionato: ci si riferisce chiaramente alla coppia Pedro Pascal/Bella Ramsey, dolcemente burbero il primo, in cerca di redenzione per l’uomo “oscuro” che è diventato; scontrosamente dolce la giovane speranza per l’umanità, figlia di tempi mostruosi, sola, mercificata e bisognosa di legami affettivi. Il resto, la spontaneità e il magnetismo, lo costruiscono i rudi e selvaggi paesaggi da far-west post-moderno, le violentate città occupate e i sotterfugi di individui che di umano conservano ben poco.
Tutto è al suo posto, tutto è già visto. Sicuramente alcuni adoratori della saga videoludica la renderanno la loro nuova ragione di vita, altri la disprezzeranno a priori, convinti della sua “inutilità seriale”. Ma per chi ha iniziato a conoscere The last of us solo da qualche settimana a questa parte, non ci sarà alcuna epifania: solo un nuovo prodotto dall’eco mastodontica, finemente soppesato, confezionato ad arte, già mito trans-mediale. Ma l’intrattenimento, quello sì, è davvero assicurato.
Disponibile su Sky Atlantic dal 23 gennaio.
The last of us – genere: drammatico, horror; showrunner: Craig Mazin, Neil Druckmann; stagioni: 1 (rinnovata); episodi: 9; interpreti principali: Pedro Pascal, Bella Ramsey, Anna Torv, Nico Parker, Merle Dandridge, Gabriel Luna; produzione: Sony Pictures Television, PlayStation Productions, Naughty Dog, The Mighty Mint, Word Games; origine: U.S.A., 2023; durata: 60′ minuti; episodio cult: 1×08