Carlotta deve finire alcune registrazioni urgenti per un audiolibro che deve consegnare, i Racconti di Walter Benjamin. È nervosa, i familiari continuano a interromperla, vuole tutti fuori dai piedi. “Come se non ci stessi” le ripete l’operatore di camera, che è anche suo fratello. Questi sta producendo un documentario su sua sorella. Carlotta non comprende cosa ci sarebbe da raccontare su di sé. Passa tutto il giorno a performare per un ascoltatore invisibile. Ora è una macchina apparentemente invisibile a voler catturare, se non intrappolare, la sua performance.
Dalle dichiarazioni del regista Riccardo Giacconi lo spunto iniziale per il suo Giganti Rosse pare essere stato un racconto del 1934 di Benjamin chiamato Al minuto in cui un bibliofilo a cui era stato chiesto di produrre una trasmissione radiofonica commette un errore di tempistica durante la registrazione prodigandosi così in una frivola performance retorica pur di salvare il salvabile. Nel film di Giacconi, però, non è solo la registrazione radiofonica che disciplina il performer ma anche la camera da presa che si insinua tra le pieghe affettive di un rapporto familiare.
Le riprese fanno riferimento a due precisi lassi temporali, 2020 e 2022, in quello che è una specie di lockdown familiare. La macchina da presa osserva, indaga il quartiere dalla finestra, punta l’occhio su altre finestre, in attesa di una finzione. E se il reale non offre tante opportunità narrative allora sarà il regista a doverle provocare. Fotografie, ricordi, ogni documento può essere utile a far scaturire la finzione. Tuttalpiù se servono per rafforzare la finzione principale, che Carlotta o la sorella minore siano veramente le sorelle del regista e non delle attrici (rispettivamente Sibilla Scinti Roger e Marta Ramadori).
Tra i soggetti che la macchina cattura vi è Gufo, un senzatetto continuamente bullizzato, che un giorno finisce vittima di un’aggressione. Prima veniamo a conoscenza dell’accaduto solo attraverso gli audio di una delle sorelle spediti al fratello. Nel 2022 però la verità riaffiora con la confessione della sorella minore di essere stata testimone dell’aggressione con tanto di documento video che lo attesterebbe. Ma nel video non si vede niente, solo l’audio dà qualche indizio su quel che è successo.
In Giganti Rosse la macchina da presa non solo intrappola i propri soggetti ma anche lo spettatore in visioni sempre più orrorifiche, lo costringe sempre a immaginare il peggio, riesce a trovare il suo sbocco finzionale solo nel distopico. Di quelle stelle giganti rosse tanto sognate non vi è traccia. Ma forse non sono gli strumenti a intrappolare i soggetti, ma sono i rapporti tra i soggetti, come un lockdown emotivo. Così nel chiuso della famiglia un incubo infantile ritorna, di un giovane regista che intrappola le sue attrici in un armadio.
Giganti Rosse – Regia: Riccardo Giacconi; musica: Giulia Marzin; interpreti: Marta Ramadori, Sibilla Scinti Roger; produzione: Botafuego; origine: Italia, 2023; durata: 69 minuti.
Ho guardato questo film coinvolta sempre di più via via che conoscevo.i.perdinaggi…traspare tutta la gamma dei sentimenti umani e soprattutto quelli che legano i componenti familiari. Nelle famiglie ci si i scontra , si ricorda, ci si diverte, si soffre, di prova tenerezza…. Bellissima tenera poetica l’ultima scena con le due sorelle sedute sul prato, la più grande col bimbo in braccio, la minore alle spalle di Carlotta che l’abbraccia….e scorrono le lacrime….bravo il regista e brave le attrici