C’è qualcosa di Adriana in Celestina: sono entrambe, oltreché due teneri e robusti personaggi del cineasta romano Antonio Pietrangeli, due ragazze di provincia sole a Roma, vittime di un gigantesco e doloroso abbaglio. Una ben prima del boom, nel 1953, l’altra alla fine del cosiddetto miracolo economico, nel 1964.
Poi è vero, la prima ha scelto il suo destino liberamente, anche se l’avverbio andrebbe circondato di giganti virgolette, visto che in una sequenza del suo film, Io la conoscevo bene, appunto del 1964, Adriana torna a trovare i genitori in una campagna toscana povera, desolata, e l’idea di fuggire da quel paesaggio brullo di fatica e null’altro – avvertiamo nei pochi attimi e nelle battute di quella sequenza quasi dolorosa – sa abbastanza di scelta obbligata.
Celestina, invece, la protagonista di Il sole negli occhi, esordio alla regia di Antonio Pietrangeli, uscito nelle sale italiane il 13 ottobre del 1953, settant’anni fa, se ne starebbe volentieri nel suo borgo di Castelluccio, ma alla sua famiglia contadina servono soldi, e i due fratelli la obbligano a emigrare verso Roma, dopo che i genitori sono morti. Celestina non ha altra scelta che andare a servizio presso una famiglia della capitale: sarà il primo approdo di una drammatica odissea urbana, un galleggiare disordinato e naufrago tra famiglie di diversa estrazione. Sarà un (poco piacevole) lasciarsi ondeggiare che la porterà a tentare quel gesto che Adriana, dieci anni più tardi, trasformerà nella tragedia più atroce e triste. Sono due ragazze in gamba, in realtà, Celestina e Adriana, la prima interpretata da Irene Galter e la seconda da una strepitosa Stefania Sandrelli.
Questi due volti pennellati dal più importante ritrattista femminile del cinema italiano – insieme ad Antonioni e Fellini, ma con più continuità, con una costanza totale e unica – sono due cuori vivaci e incapaci di indurirsi come lo spazio intorno a loro suggerisce di fare. Sono due creature diversamente (at)tirate verso la città dei nuovi quartieri, dei palazzinari, dei cialtroni, dei cumenda e dei “mostri” non sempre innocui. Poi dentro le vie di Roma si dividono, anche a causa del decennio che le separa: se Adriana viene accecata dalla società dello spettacolo, dal mondo del cinema e della pubblicità, Celestina illumina il sottobosco delle cameriere, delle ragazze di paese (e non solo) a servizio nei quartieri della nuova Roma nascente. La corrente la porta dal Nomentano ai Parioli, dal centro storico fino a Ladispoli, senza una meta precisa, con un amore farlocco incontrato sulla strada, dannoso e trasformato in una lenta presa di coscienza, sofferente e forte.
Non c’è la favola dentro Il sole negli occhi: il suo “neorealismo rosa”, seppure contaminato di realistica, romanesca, commedia, è meno luminoso e pacificato di quello contemporaneo (e forte al botteghino) di Pane, amore e fantasia. Uomini nobili, statuari e positivi come il maresciallo di De Sica, nell’opera di esordio di Pietrangeli non ce ne sono. C’è un certo Fernando, al contrario, interpretato da Gabriele Ferzetti: un pavido calcolatore mezzo sospeso tra i sentimenti per Celestina e un matrimonio di convenienza con la sorella del suo socio idraulico, anzi stagnaro. Uno che Celestina la prende in giro ripetutamente, in qualche modo mostruosamente, fino a una probabile presa di coscienza fuori tempo massimo. Quando Celestina è sopravvissuta (insieme al dono che porta in grembo) al gesto più estremo ed è già diventata icona di un femminismo netto, di sostanza prima che di manifesto. Alimentato da altre storie femminili intorno a lei, solidali di fronte a maschi non eccelsi, tutt’altro, spettatori attivi di un tema moderno affrontato ancora con zone di bozzettismo, con meno forza rispetto alle successive vette di Antonio Pietrangeli (non solo Io la conoscevo bene, ma anche Adua e le compagne, La visita e La parmigiana), ma con interessanti fotografie, al suo interno, sul paesaggio dei primi anni cinquanta a Roma, non solo geografico. Anche culturale, quello per esempio dell’emigrazione interna.
Il sole negli occhi sa farsi, con il suo passo altalenante e a tratti meno incisivo, cerniera cinematografica: le sue inquadrature e i suoi dialoghi contribuiscono a formare l’importante spazio tra neorealismo e (successiva) commedia all’italiana: quella di cui Pietrangeli, con le sue donne straordinarie, sarà importante esponente, con una poetica e una personalità vistose e preziose.