Touch di Baltasar Kormákur

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Più volte mi è accaduto negli ultimi anni di alludere a una tipologia di film, destinata evidentemente a crescere, i film sulle malattie neurodegenerative, più volte mi è accaduto anche di alludere ai limiti ontologici, alla non-rappresentabilità di questi stati, soprattutto delle fasi più avanzate, drammatiche e tragiche della demenza o dell’Alzheimer. Neanche  due mesi fa avevo recensito, in questa categoria, il film di Michael Keaton, intitolato La memoria dell’assassino che, più o meno, iniziava allo stesso modo di Touch del regista islandese Baltasar Kormákur, tratto da un romanzo di  Ólafur Jóhann Ólafsson, uscito in Italia da Einaudi col titolo  Sotto la pioggia gentile: pessimi esiti diagnostici e lotta contro il tempo, perché la malattia, appunto, è destinata in tempi rapidissimi a degenerare. Se John Knox, il personaggio interpretato da Keaton, di mestiere faceva l’assassino su commissione, Kristófer fa il cuoco in Islanda, è vedovo, ha una figlia di cui però non è il padre naturale, che non vedremo mai ma ascolteremo in messaggi vocali. E decide di partire per quella che, da diversi punti di vista, appare una mission impossible. Del resto: ora o mai più, il medico d’altronde glielo aveva detto esplicitamente: se ha dei conti in sospeso, li risolva adesso. Mission impossible prima di tutto perché la partenza avviene nell’ultima decade del marzo 2021, quando in tutto il mondo si decide il lockdown, si tratta letteralmente di prendere l’ultimo volo utile. Destinazione Londra, dove Kristófer aveva risieduto e lavorato la bellezza di 51 anni prima: arrivato per studiare alla London School of Economics, si era rotto le scatole e aveva cominciato a lavorare in un ristorante giapponese, qui aveva conosciuto la figlia del titolare e se ne era innamorato, così come lei di lui. Dopodiché per ragioni che Kristofer e gli spettatori scopriranno solo alla fine Miko (questo il nome della ragazza) sparisce dalla vista di Kristófer, sparisce probabilmente da Londra, senza lasciare più traccia alcuna.

Il film alterna la quest di Kristófer a numerosi episodi tratti dal passato, l’alternanza è talvolta un po’ meccanica ma permette di dispiegare con dovizia di episodi tutta la vicenda: la nascita dell’amore, il rapporto affettuoso e reciproco del protagonista col padre di lei che lo inizia ai segreti della cucina giapponese, dopo che il giovanotto ha iniziato svolgendo semplicemente mansioni di lavapiatti. A un certo punto, il Covid impera vieppiù, Kristófer decide anche di partire per il Giappone, destinazione Tokyo dapprima e quindi Hiroshima, una città che svolgerà un ruolo centrale nel disvelamento dei misteri legati al plot. Fin quando, fra mille traversie e peripezie, i due ultrasettantenni a distanza di mezzo secolo si ritrovano per rivelare e scoprire cose decisamente sorprendenti, anzi inaudite – e la temperatura del film si tinge di toni drammatici e melodrammatici.

I pregi del film risiedono in prima battuta nelle prove degli attori, sia i giovani che i vecchi (attori e attrici sconosciuti fuori dall’Islanda e dal Giappone), sia i personaggi principali che i personaggi minori, in secondo luogo nella ricostruzione non troppo posticcia della Londra anni ’70, gli autobus, i treni, l’arredamento, l’abbigliamento, John Lennon e Yoko Ono a letto (chissà come mai…), un certo gradevole laconismo nei dialoghi in tre diverse lingue: islandese, inglese e giapponese. I difetti sono: la pretestuosità del pretesto (mi si passi il bisticcio) ossia il fatto che la partenza di Kristofer alla ricerca del tempo perduto è originata dalla summenzionata diagnosi di cui, nel corso del film, nessuno di fatto si accorge più, anzi, di cui lo spettatore letteralmente si dimentica; né, mi pare di poter dire, risulta presentare tratti di particolare originalità  il viaggio in Giappone, del resto rintracciabile in diversi film anche recenti (Il sapore della felicità, Viaggio in Giappone, anche Perfect Days, pur non essendo un viaggio): ipermodernità e arcaismo, formalismo (gli inchini e l’uso di “san” come apostrofe) e improvvise accensioni di confidenza soprattutto a valle di un bel po’ di sakè. E su tutto questo: i traumi della Storia.

In sala dal 29 agosto 2024.


Touch – Regia: Baltasar Kormákur; sceneggiatura: Baltasar Kormákur, Ólafur Jóhann Ólafsson; fotografia: Bergsteinn Björgúlfsson; montaggio: Sigurður Eyþórsson; interpreti: Egill Ólafsson (Kristófer da anziano), Kōki (Miko da giovane), Palmi Kormakur (Kristófer da giovane),  Masahiro Motoki (Takahashi-san), Yōko Narahashi (Miko da anziana); produzione: RVK Studios, Good Chaos; origine: Islanda, Usa, Gran Bretagna 2024; durata: 121 minuti; distribuzione: Universal Pictures.

 

 

 

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