Rumore bianco di Noah Baumbach

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Essere una famiglia è cosa complicata: un rebus senza soluzione, un gioco da tavola destinato a essere rovesciato dall’arrivo di una burrasca che butta all’aria gli alberghi di Parco della Vittoria del Monopoli, un unisci i puntini che dà forma, una volta terminato, alla materializzazione delle inquietudine di ogni figlio sommate a quelle di ambedue i genitori. Mischiando un cinema intimista che indaga le voragini familiari (non a caso il padre esclama, perentorio: “la famiglia è la culla della disinformazione”) e il disaster movie americano, Noah Baumbach in Rumore bianco, tratto dal romanzo di Don De Lillo (edito nel 1985 da Einaudi), finisce nel Midwest americano, dove Jack Gladney (Adam Driver) è un professore universitario stimato negli alti ranghi dell’Accademia (specializzazione in studi su Hitler) alla università di College on the Hill; la bionda ricciolona è Babette (Greta Gerwig, compagna del regista) – occhi spalancati sul mondo, sui vecchietti a cui insegna ginnastica posturale con indosso scalda-muscoli colorati, sui figli, suoi o solo di suo marito con altre due mogli differenti – moglie distratta e iper sensibile, particolarmente angosciata dalla morte (proiezione di paure interiori ataviche).

La vita familiare è scandita dai pasti insieme, da dialoghi serrati, teorizzazioni e dibattiti riguardo a cose futili viste in televisione, su prodotti da comprare perché finiti o scaduti, su rituali fortuiti ma primari come l’andare a fare la spesa al supermercato. Il consumo, la dipendenza da farmacia, gli incubi ricorrenti, la diffusa paura della morte: come cambiano le abitudini quando la paranoia diventa realtà? Durante una cena (che ricorda il finale di Don’t look up, Adam McKay, 2021) la televisione informa che il deragliamento di un treno ha provocato una nube tossica pericolosamente vicina. La famiglia, come tutte le famiglie del circondario, deve evacuare la zona. Correre via lontano è l’urgenza assoluta: il rifornimento di benzina in una stazione di servizio già rimasta isolata potrebbe aver causato al padre di famiglia malattie al momento inimmaginabili.

Non serve più a nulla essere un esperto in studi hitleriani, saper fare un parallelo sul rapporto con la rispettiva madre tra Hitler e Elvis, non si riesce a proteggere un proprio caro solo col dono della favella. Jack ha un suo momento da eroe solo nel recupero a terra di un pupazzetto del cuore della figlia più piccola; per il resto la moglie si trova catapultata in una sorta di comfort zone in cui finalmente la paura di morire è divenuta reale e tangibile, in cui prendere una pasticca per provare ad attenuarla assume un senso compiuto.

L’evacuazione obbligata sposta i cardini e ognuno può assumere ruoli diversi: le parole possono essere usate in maniera nuova, il rumore diviene foriero di negazione e non di possibilità. Con il disastro muore l’american dream: in un soffio scompaiono le certezze, le presunzioni, l’adulterio, tutto vacilla, bisogna trattenere il fiato e provare a raggiungere l’altra riva del fiume (come nella pazza corsa della automobile tra i campi che finisce nell’acqua corrente: ci sarà una cascata alla fine?).

Film ricco di citazioni, in cui serpeggia una nostalgia degli anni Ottanta (nelle scene e nei costumi), in cui il confronto con l’oggi appare inevitabile. Eppure, come in una gag finita male, la morale è che non si impara a non bruciarsi nel fuoco nemmeno passandoci attraverso. I titoli di coda appaiono mentre una coreografia arzigogolata di ballo di tutti i personaggi del film tra i filari di un supermarket: attaccarsi alla concretezza dell’oggetto che nutre – e produce spreco e dispendio di denaro: il potere dell’economia e del capitalismo – resta l’unica forma di sopravvivenza per allontanare il rumore di fondo della morte.

Greta Gerwick versione frisé ha una straordinaria somiglianza con la Mira Sorvino dei tempi di La dea dell’amore di Woody Allen  (1995). Cameo di Barbara Sukowa nelle vesti religiose di suor Hermann Marie con una nazi allure maschile.  Film d’apertura della 79ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia a settembre, adesso per qualche giorno in sala prima di uscire su Netflix.

In sala dal 7 dicembre poi su Netflix

 


Rumore bianco (White Noise) – Regia e sceneggiatura: Noah Baumbach;  fotografia: Lol Crawley; montaggio: Matthew Hannam; musica: Danny Elfman ; interpreti: Adam Driver, Greta Gerwig, Don Cheadle, Raffey Cassidy, Jodie Turner-Smith, Alessandro Nivola, Lars Eidinger, André 3000, Mike Gassaway, Sam Nivola, Logan Fry, Thomas W Wolf, Matthew Shear, Francis Jue; produzione: Passage Pictures, A24, BB Film Productions, Heyday Films, Netflix Studios; origine: Usa, 2022; durata: 136’; distribuzione: Netflix.

 

 

 

 

 

 

 

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