Il corsetto dell’imperatrice di Marie Kreutzer

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Quando mi capita di parlare a studenti e soprattutto a studentesse delle varie fasi della storia del cinema tedesco e vengo a trattare il cinema degli anni ’50, introduco il concetto di Heimatfilm (nessuno di solito lo conosce quel concetto,  tutto normale per carità e non vi tedierò, ora, spiegandovelo, tanto c’è Wikipedia) e poi vengo anche a parlare dei film su Sissi, i tre film di Ernst Marischka (1955, 1956, 1957), con Romy Schneider nel ruolo dell’Imperatrice d’Austria e Karlheinz Böhm nel ruolo di Francesco Giuseppe.

Non si sa come mai (o forse sì?) ma tutte le ventenni, ma davvero tutte, che di storia del cinema sanno ben poco, conoscono (e lo si capisce bene: apprezzano) invece i film su Sissi, all’improvviso il professore vede ciò che capita sempre più di rado: teste che annuiscono in segno di comprensione. Sissi – c’è poco da fare – è quel che si dice un mito: un mito di bellezza, un mito di lusso, il mito di un passato che non c’è più, antecedente la frattura della civiltà, come ha chiamato Dan Diner la shoah; e aggiungiamo: almeno a partire da un certo punto in avanti dell’esistenza dell’imperatrice austriaca (ma di origine bavarese) un mito anche di infelicità, di grandissima infelicità, la terza parte della trilogia di Marischka ne forniva qualche importante esempio. Romy Schneider, attrice bellissima ed essa stessa mitica, ci ha, com’è ovvio, messo del suo nella mitizzazione dell’icona Sissi, soprattutto nella sua fase felice e ascendente. Poi fu la stessa Schneider che volle liberarsi dell’icona, non accondiscendendo a un ulteriore film, diventando in seguito, peraltro, essa stessa un mito di infelicità.

Lo statuto mitologico di Sissi e di Romy Schneider ha fatto sì che nei sessant’anni successivi vi fossero sì altri film (e opere d’arte di altro genere), ma un po’ spalmati nel tempo, film, sceneggiati televisivi, serie animate, opere teatrali, musical, romanzi. Chi vuol farsi un’idea troverà in rete tutto il necessario.

Bisognerebbe chiedersi invece come mai negli ultimi tre/quattro anni si sia verificato un incremento vertiginoso delle opere dedicate a Sissi (emulazione con l’altra Elisabetta, dunque qualcosa come: effetto collaterale di The Crown? Non credo sia una ipotesi da escludere del tutto), una tendenza che, a quel che sembra, non si è ancora conclusa, si vedano in primo luogo le due serie (una su RTL/NOW e una su Netflix), ma anche film, uno Sisi & Ich (in realtà il nomignolo di Elisabetta di Baviera era con una “s” soltanto) arriverà solo nel 2023 e – si legge – racconta l’imperatrice dalla prospettiva di una dama di compagnia (mamma, che originalità!). Ma oggi c’è da parlare del film forse più ambizioso ma probabilmente più noioso fra quelli degli ultimi tempi.

Il corsetto dell’imperatrice  (presentato a Cannes nella sezione Un certain regard e in anteprima italiana alla Festa di Roma) racconta di una Elisabeth (già usare il nomignolo Sisi o Sissi che sia appare qui inopportuno) quarantenne ossessionata dall’idea di ingrassare e di contravvenire all’icona di cui lei stessa è prigioniera, di donna bellissima, di donna modello; l’ossessione è esemplificata dalla scena iniziale: la donna, in vasca da bagno (ci saranno non meno di dieci scene in vasca da bagno a significare le cose più diverse) si esercita nella resistenza in apnea fino allo sfinimento, le domestiche devono cronometrare, dopodiché Elisabeth si fa vestire, indossando il corsetto e intimando alle ragazze di stringerglielo sempre di più, l’ossessione sta virando verso il masochismo. A questo aggiungasi, nell’ordine: un’alimentazione controllatissima, l’inclinazione a mostrarsi sempre più di rado in pubblico per un’idiosincrasia sempre maggiore a svolgere quel ruolo di rappresentanza che le è richiesto (talvolta con tanto di veletta si fa sostituire da chi grosso modo ha la sua stessa corporatura), sempre più numerose fughe da palazzo, in Inghilterra, in Ungheria, dal cugino Ludwig in Baviera etc., comportamenti strani e inappropriati per una sovrana: fumo, sesso à la Lady Chatterley, droga, masturbazione, frequentazione di manicomi, di lazzaretti ben oltre il consentito a istituire una omologia, come a dire: sono una di voi, il tutto con una pronunciata modernizzazione, sia nel linguaggio, sia nel comportamento, sia nell’uso del corpo, anche nell’uso di una peraltro bella colonna sonora (a cura della cantautrice francese Camille, ma le canzoni sono tutte in inglese).

Insomma il film è un – piuttosto ripetitivo – Stationendrama internazionale (si parla in almeno quattro lingue, del resto il film è una coproduzione) che racconta il lento e inesorabile sbriciolamento di una identità, di una personalità, fino alla fuga finale su un piroscafo in partenza da Ancona con una fine decisamente controfattuale che non racconterò ma che si può immaginare abbastanza facilmente.

Siamo, ma senza la potenza visionaria di Larraín, con tutta chiarezza in zona Spencer, in zona Jackie, insomma donne fragili schiacciate dai meccanismi di potere, dalla coercizione dell’etichetta che stritola, oltreché dalla bilancia (qui come in Spencer reiteratamente inquadrata). Vicky Krieps, l’attrice lussemburghese (che con la figlia parla lietzenburgisch, non si capisce perché) che interpreta Elisabeth è bravissima, non c’è che dire, ma questo nulla toglie alla sostanziale monotonia del testo che difenderà i colori austriaci agli Oscar come miglior film straniero (fra i film austriaci, non lo nego, mi piaceva molto di più Vera di Tizza Covi, Rainer Frimmel che abbiamo recensito dalla Mostra di Venezia).

Marie Kreutzer, la regista quarantaquattrenne, ha fatto il possibile per rendere Elisabeth moderna, modernissima, potenziale oggetto di identificazione di tutte le donne e ragazze, europee e non, schiacciate dalla manipolazione del corpo per conto dei maschi, delle aspettative della società o anche solo dei social media. Questa intenzione la si vede fin troppo bene, senza che so io, la leggerezza della Marie Antoinette (2006) di Sofia Coppola. Se si tratta di modernizzare e di scoronare, c’è poco da fare, gli americani sono più bravi, le americane sono più brave.

In sala dal 8 dicembre


Il corsetto dell’imperatrice (Corsage) – Regia, sceneggiatura: Marie Kreutzer; fotografia: Judith Kaufmann; montaggio: Ulrike Kofler; musica: Camille; interpreti: Vicky Krieps (Elisabeth), Florian Teichtmeister (Franz Josef), Manuel Rubey (Ludwig), Colin Morgan (Bay); produzione: Film AG, Samsa Film, Komplizen Film, Kazak Productions, ORF Film/Fernseh-Abkommen; origine: 2022 Austria, Lussemburgo, Francia, Germania; durata: 114′; distribuzione: Bim.

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