Furore di Massimo Popolizio

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Mais e Disperazione

Polvere e Morte

Latte e Pietà

John Steinbeck sa essere umano, ma soprattutto sa dell’essere umano. Stupisce la capacità con cui l’autore americano prende il singolo oggetto o azione e poi li espanda, come se lui potesse separare in vitro parti di umanità e ne sapesse poi controllare la diffusione a suo piacimento. Ragionare per massimi sistemi: Mais e Disperazione, per esempio. Si parte dal mais, e la mancanza dello stesso, per arrivare alla disperazione. Ma anche Polvere e Morte. E poi, sorprende l’esattezza. Salomonico, Steinbeck. Come se di nuovo sapesse, con precisione, dove un sentimento finisce e dove ne inizia un altro, e così conoscesse il peso di quel sentimento sulle spalle di chi lo prova: cosa ne sia la causa, cosa la conseguenza. E un mondo, un mondo di disperati in cammino diventa in tal modo il suo laboratorio di lavoro, la sua musa in movimento:

Nell’estate del 1936, il San Francisco New chiese a John Steinbeck di indagare sulle condizioni di vita dei braccianti sospinti in California dalle regioni centrali degli Stati Uniti, soprattutto dall’Oklahoma e dall’Arkansas, a causa delle terribili tempeste di sabbia e dalla conseguente siccità che avevano reso sterili quelle terre coltivate a cotone. Il risultato di quell’indagine fu una serie di articoli da cui l’autore americano generò, tre anni dopo, nel 1939, il romanzo Furore. Quello a cui assisterete è il racconto di come John Steinbeck trasformò quella decisiva esperienza giornalistica, umana e politica in grande letteratura.

E poi lo scalare dei capitoli. Da quel La Polvere che richiama l’inizio (e la causa) di questa prima Apocalisse, si passa a coloro, o meglio colei che nella polvere non solo ci sguazza ma ci specula: La Banca. Perché «la Banca non è come un uomo che è fatto di carne, la Banca si nutre di profitto e il mostro Banca è malato». E così, spinti dalle banche e inseguiti da Trattori che prendono il loro posto, i disperati braccianti iniziano a muoversi verso lo Stato del Sole, quel paradiso fatto Terra che è la

CALIFORNIA

E non solo gli uomini sono inseguiti, ma anche una tartaruga. E La Tartaruga si trova davanti l’ostacolo più grande: una strada, la Route 66. E le auto che l’attraversano. Oggetti da Vendere e Oggetti da Lasciare lungo il cammino e pure Accampamenti da crearsi lungo il cammino, nei quali durante la notte proliferano mondi e la mattina quei mondi si sciolgono lasciando spazio a piramide di monetine d’argento. E si sa, a ogni mondo corrispondono dei diritti e i diritti dei rifugiati sono quelli del narrato. Loro raccontano, lui Massimo Popolizio, pure.

Un validissimo Massimo Popolizio presta la sua voce a Steinbeck. È una voce cavernosa e malleabile, che diventa quella del contadino senza terra, del migrante e dell’avido banchiere, del nuovo contadino che all’aratro preferisce il trattore fiammante, del venditore di copertoni come dell’acquirente dei copertoni stessi, voce che si fa persino tartaruga (uno dei capitoli migliori), voce che si fa donna, vecchio e bambino, voce che non ha limiti di sorta. Alle musiche Giovanni Lo Cascio, polistrumentista che accompagna Popolizio nel suo viaggio e, alle spalle dei due, le fotografie in bianco e nero di un tempo andato, andato a tale velocità da aver bruciato coloro che lo hanno vissuto e lasciando alle sue spalle il vuoto.

Perché questa è pur sempre una storia di disperazione, di Furore. Si parte da un Apocalissi, quello del East, ma il West non promette niente più che un altro, diverso Apocalissi. Terra dell’oro, terra dei campi verdi e della frutta in abbondanza la California, ma è sufficiente un non nulla perché l’oro promesso diventi in realtà pirite e i disperati di un tempo rimangano con in mano ben poco. O meglio, rimangano con in mano i Semi di un nuovo Furore, quello che è stato piantato nel frattempo e che ben presto monterà, violento e distruttivo. Il seme di una nazione che in seguito arriverà a dominare il mondo. E così ci sarà acqua a volontà, ma tanta da divenire alluvione, abbonderà la povertà sino a diventare grido miserabile, abbonderà la disperazione, e poco potrà lenire. Soltanto il Latte materno. Quello di una neo madre, sì, non per il suo bambino, bensì per un vecchio. Si diceva che mai in Steinbeck qualcosa è solo ciò che è. Massimi sistemi, infatti:

Latte e Pietà.

Spettacolo dal 6 al 18 dicembre al Teatro Argentina, Roma.


Furore di John Steinbeckideazione e voce: Massimo Popolizio; adattamento: Emanuele Trevi; musiche eseguite dal vivo: Giovanni Lo Cascio; creazioni video: Igor Renzetti, Lorenzo Bruno; regista assistente: Giacomo Bisordi; suono: Alessandro Saviozzi; luci: Carlo Pediani; aiuto regia: Mara Laila Fernandez; direttore di scena: Marco Parlà; fonico: Massimo Polini; datore luci e video: Francesco Traverso; produzione: Compagnia Umberto Orsini, Teatro di Roma – Teatro Nazionale.

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