Manitoba è una vecchia colonia di Mennoniti, incuneata fra le praterie silenti di un luogo imprecisato e un cielo torbido che sembra schiacciare i campi. Al suo interno, si dipana uno spazio-tempo che con il nostro spazio-tempo non ha nulla a che fare: niente elettricità, niente automobili, niente medicinali, e così via. Gli abitanti parlano per lo più Plautdietsch – l’antica lingua dei Padri Fondatori, la lingua che risuona nelle menti di tutti, che scandisce il tempo dei giorni e delle notti, che incide nell’animo di chi l’ascolta i sacri comandamenti della vita terrena. Di Padri Fondatori, per l’appunto, si sente parlare spesso: l’uomo, fatto a immagine e somiglianza di Dio, ha creato il Dio-Padre che, a sua volta, crea e distrugge. Lo spettro dei Padri Fondatori, dei Primi e dei Giusti, corre per le strade sterrate, spaventa i cavalli al galoppo, detta la Legge, cesella un Credo a cui nessuno ha davvero accesso. E commette orrori che è bene tacere.
Per questi ed altri motivi, la nuova opera della scrittrice e regista canadese Sarah Polley non è un film, bensì un “atto d’immaginazione femminile” ed è tratto da Donne che parlano (2018, edizione italiana: Marcos y Marcos) della scrittrice canadese Miriam Toews, a sua volta liberamente ispirato a fatti avvenuti nella colonia Manitoba in Bolivia. Così, infatti, i Padri Fondatori definirono appunto i numerosi casi di stupro subìti dalle donne della colonia fra il 2005 e il 2009. Se il Padre è, di per sé, un’entità oscura e inviolabile, non si può certo dire lo stesso della Madre, né della Moglie, né della Figlia: la vittima più giovane aveva 3 anni, quella più anziana 65. I segni delle violenze furono etichettati come tracce della presenza diabolica che, si sa, dimora nel corpo della donna – non in quello dell’uomo che ne prende illegittimamente possesso. Quando due ragazze, sopravvissute ai fumi delle droghe, videro coi loro occhi ciò che stava accadendo, il caso esplose oltre lo spazio-tempo ristretto di Manitoba. La polizia di una città vicina condusse gli aggressori in tribunale, li processò e ne condannò una decina. Gli altri Padri vennero ricondotti al villaggio: Madri, Mogli e Figlie furono invitate a perdonare, perché questa è la volontà del Signore. Perdonare per dimenticare, o fuggire e rinunciare al Regno di Dio – questa la scelta a cui le donne vennero sottoposte. Eppure, un pensiero cominciò ad insinuarsi nelle loro menti, a corrodere quel Credo dei Primi e dei Giusti a cui nessuno aveva accesso: è possibile che il Paradiso, la Terra Promessa a cui il nostro vagare su questa terra aspira, non sia nient’altro che un “atto d’immaginazione maschile”? È possibile che la Parola, unico veicolo di comunicazione fra questo e l’altro mondo, sia enunciabile al femminile?
Da qui in avanti, Polley prende le distanze dal semplice caso di cronaca, trapiantando il cosiddetto “atto d’immaginazione” su un palcoscenico teatrale che, in fondo, mai è esistito: Women Talking (questo il titolo originale del film) si svolge quasi interamente all’ombra di un granaio, nel guscio di un’altra colonia – non quella dei Padri Fondatori, ma quella delle Madri, delle Mogli e delle Figlie. La cinepresa rimane ancorata ai volti e alle storie di Mejal (Michelle McLeod), di Salome (Claire Foy), di Mariche (Jessie Buckley), di Ona (Rooney Mara), di Agata (Judith Ivey) e delle altre vittime, mescolando aneddoto, documento, aforisma e parabola. Ciò che emerge è un affresco dai toni caravaggeschi, una finestra spalancata su una verità in chiaroscuro, visibile solo in parte, e solo per vie traverse.
I numerosi “atti d’immaginazione femminile” irrompono fra le pareti del fienile dove si decidono le sorti dell’intera comunità – una comunità, questa volta, non di Padri Fondatori, ma di Madri Fondatrici. Il fantasma della violenza subìta si ripresenta periodicamente attraverso visioni sconnesse, incubi più tangibili della realtà stessa, con le sue praterie silenti in cui bambini e bambine giocano ancora come se nulla fosse. Abbiamo tuttavia l’impressione di assistere ad un lunghissimo monologo: le voci delle protagoniste albergano in un comune sentire dai contorni decisamente più ampi rispetto a quelli del granaio in cui si svolge la vicenda. Come loro, anche noi impariamo di nuovo il significato delle parole: perdonare non significa dimenticare – come vorrebbe, invece, Janz “Scarface”, qui una Frances McDormand sfregiata dalla vita che delle proprie cicatrici ha fatto il suo personale calvario. Rimanere e combattere non è affatto, come vorrebbe la retorica comune, un atto eroico. E andarsene per sempre non equivale a fuggire, quanto a muoversi, a correggere il proprio cammino e a spostare la propria rotta verso un “Paradiso” più limpido e meno infelice di quello prospettato dal Vecchio Testamento di Manitoba.
Candidato agli Oscar 2023 per miglior film e miglior sceneggiatura non originale, Women Talking è, effettivamente, un atto di fantasia, un reportage al condizionale su ciò che sarebbe stato se. Polley romanza il fatto di cronaca e traduce il dialogo in fotografie, donandoci un ritratto interiore dei luoghi che queste donne per molto tempo hanno chiamato “casa”. Lungi dall’essere un marchio diabolico, l’immaginazione permette a regista e spettatore di tracciare le coordinate di un trauma senza sfociare nella banalità e nel fariseismo moraleggiante di chi, quel trauma, non l’ha subìto. Una menzione d’onore, a tal proposito, va a Ben Whishaw, qui nei panni di un maestro elementare appena ritornato da un interminabile esodo universitario: August, questo il suo nome, è una creatura tormentata, paziente e (solo in parte) remissiva, un eroe romantico in grado di guidare i futuri Padri, Mariti, Figli lontano dai Padri Fondatori. Inutile dire ch’egli rappresenta l’esatta controparte della “mascolinità tossica” a cui l’“immaginazione femminile” ha finito per abituarsi – una definizione, questa, che probabilmente si sposa solo in parte con quel senso d’intimità religiosa che la pellicola sa trasmettere. Infatti, ben più di qualsiasi assioma, Legge o Credo, a rimanere è la donna, con il suo corpo, la sua parola, e la percezione di uno spazio-tempo diverso, più chiaro e meno scuro del Paradiso omertoso che schiaccia Manitoba.
In sala dall’8 marzo 2023
Cast & Credits
Women Talking – Il diritto di scegliere (Women Talking); Regia e sceneggiatura: Sarah Polley; fotografia: Luc Montpellier; montaggio: Christopher Donaldson, Roslyn Kalloo; interpreti: Rooney Mara (Ona), Claire Foy (Salome), Jessie Buckley (Mariche), Judith Ivey (Agata), Sheila McCarthy (Greta), Michelle McLeod (Mejal), Kate Hallett (Autje), Liv McNeil (Neitje), August Winter (Melvin), Ben Whishaw (August), Frances McDormand (Scarface Janz), Kira Guloien (Anna), Shayla Brown (Helena), Emily Mitchell (Miep), Nathaniel McParland (Aaron), Eli Ham (Klaas); origine: USA 2022; durata: 104 minuti; distribuzione: Eagle Pictures.