La felicità degli altri

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La maggior parte delle commedie francesi vantano, su quelle italiane, un sempre elevato livello di recitazione e di scrittura, delle tematiche forti declinate in maniera delicata, mai urlata o sfacciata. La felicità degli altri (in originale Le bonheur des uns… ) per la regia di Daniel Cohen, con un cast di grandi attori (Bérénice Bejo, premio Oscar per The artist di Michel Hazanavicius, 2011,;Vincent Cassell, Florence Foresti, François Damiens) ha un’aria familiare sin dalla prima scena al ristorante in cui la conversazione domina e determina le relazioni che lo spettatore vedrà scorrere nella successiva ora è 40’ del film.

I francesi parlano tantissimo, speculano, spettegolano, pensano che avere un giudizio su tutto sia fondamentale a inquadrare il proprio carattere. Qui le due coppie formate da Léa Monteil e Marc Seyriey (Bejo e Cassell)e dai coniugi Léger, Karine e Francis (Foresti e Damiens) sono amiche di lunga data: la prima è composta da un pedante piccolo manager nell’industria dell’alluminio e da una dolce e remissiva commessa in un negozio di abiti di un centro commerciale, non hanno figli; la seconda da una madre di due figli, poco empatica, impiegata in ufficio con ruolo commerciale, lui simpatico padre di famiglia dal cuore grande e il cervello meno. Le donne sono amiche d’infanzia, dalle scuole primarie.

La prima sera è come una partita a dadi: la sorte deciderà da quel momento in poi di ribaltare le false sicurezze che tre su quattro dei partecipanti hanno ostentato tra le righe e sopra le righe.

Il ballo è iniziato e i ballerini devono ancora finire le prove. A parte l’indecisa Léa, che non riesce a scegliere il dessert (in una lunga gag col cameriere che mantiene un aplomb a prova di bomba), che è più solita a dare consigli alle donne su come svelare il loro lato migliore che a sostenere sé stessa: Léa vuole bene, è paziente, sorride sempre e non si lamenta mai e, davanti alla domanda se si sentisse o meno realizzata, elude, schiva la freccia, devia il discorso dichiarando alla fine, un po’ messa alle strette, di stare scrivendo un libro.

La creatività, il successo, la realizzazione personale: dove risiede la felicità? Cosa bisogna ascoltare il cuore o l’ambizione? In un catalogo di scene una più degradante dell’altra, la coppia avversaria tenta di tutto per sentirsi creativa: l’amica insiste sulla letteratura (“Léa mi ha rubato il campo”) trascrivendo le prime righe de Lo straniero di Camus, leggendole al marito che le riconosce lasciandola basita (“ma allora mi consideri davvero un cretino”); il marito prova con la scultura, poi col bonsai, la poesia in versi alessandrini, finalmente nella cucina trova il suo habitat preferito.

Il romanzo parte alla grande, diventa un best-seller: tirature su tirature, presentazioni, firma copie, premi. Il compagno e gli amici sono in evidente difficoltà, remano contro Léa, non trattengono dentro il risentimento nato dall’invidia e da una schiacciante gelosia. All’apice il compagno la lascia: “Non riesci a essere felice per me?”, Cassel, sempre più abbacchiato: “No”.

Una parabola discendente negli inferi della solitudine, della competizione, dell’ambizione senza talento, della meritocrazia: quale prezzo bisogna pagare per essere fermati per la strada con la richiesta di un selfie o per firmare un contratto da duecentomila euro (“ma 200.000€ sono una somma astratta, metti uno stipendio di 1.800€ al mese che sicurezza ti da” le caldeggia il suo superiore al negozio – un ruolo cameo del regista Cohen) o per potersi permettere una moto da regalare con disinvoltura al fidanzato che prima la accetta e poi si sente soltanto un mantenuto? Cosa vale di più la felicità o i soldi? La verità forse non esiste, i personaggi reagiscono con dinamiche a volte meccaniche a volte più riuscite, qualche prevedibilità affievolisce la spuma delle commedie raffinate e colte di tanto cinema francese del passato (da Rohmer a Renoir) ma anche di altre più recenti (Il gioco delle coppie di  Olivier Assayas, 2018, Quasi amici di Nakache e Toledano, 2011;  Cest là vie – prendila come viene, sempre di Nakache e Toledano 2017, o Cena tra amici  di Alexandre de la Patellière e Matthieu Delaporte, 2017). La pellicola non graffia di malignità, manca di grinta e di realismo, sottende le bassezze ma non le porta a galla, fa sorridere ma non sganasciare: un film leggero, di svago, che, se va bene, lascia piccole scie di pensieri riguardo alla creazione artistica. Fresco da vedere con l’aria condizionata accesa.

 

Dal 24 giugno in sala


La felicità degli altri  – Regia: Daniel Cohen; sceneggiatura: Daniel Cohen, Olivier Dazat;  fotografia: Stephan Massis; montaggio: Verginie Seguin; musica: Maxime Desprez, Michaël Tordjiman;  interpreti: Vincent Cassel, Bérénice Bejo, Florence Foresti, François Damiens; produzione: Cinéfrance Studios, SND Films, Artémis Productions, OCS; origine: Francia, 2020; durata: 104’; distribuzione: Academy Two.

 

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