L’immagine troppo invadente e la memoria

Francesco Morini

Gli ultimi mesi di questo 2021, caratterizzati da una calda estate e dal trionfo italiano in moltissime manifestazioni sportive, hanno avuto anche l’”obbligo” di salutare delle leggende del calcio mondiale, protagoniste di un tempo che non c’è più.

Il villaggio globale ha reso omaggio a Gerd Müller, Francesco Morini, Jimmy Greaves, tutti simboli di un’epoca che sembrerebbe impolverarsi sempre di più agli “occhi contemporanei”. Legando questi sportivi al tema dell’immagine, ecco che il bianco e nero delle azioni di Morini si lega all’effetto seppia delle azioni di Müller, di quegli anni Sessanta e Settanta caratterizzati in Europa, in Italia, dal terrorismo e dalla Guerra Fredda. Parliamo di una società fortemente radicata in sistemi valoriali granitici sotto il sole del partitismo: famiglia, lavoro fisso, religione. Sono questi gli anni della forza propulsiva del nostro cinema, da Fellini ad Antonioni, da Visconti a Petri, da Rosi a Ferreri.

Con Jimmy Greaves andiamo negli anni Sessanta londinesi, con le sue reti, più di duecentosessanta realizzate in competizioni ufficiali, e le immagini che riportano allo stile british legato alla rivoluzione culturale portata in dote dai Beatles.

L’immagine legata a questi sportivi si radica nel codice novecentesco e propone un quadro che non ha la pretesa, eccessiva e fuori controllo, di far immergere lo spettatore, di condurlo con l’HD ad ogni minimo dettaglio, ad ogni “virgola” viceversa si presenta, ora storicizzata, lietamente sporca, imperfetta e forte del suo valore di documento storico. Osservando, gustando le azioni di Gerd Müller, quelle imperfezioni riportano alla stagione del terrorismo, ai fatti di Monaco 72 o all’operazione del Mossad condotta, nel ’76, all’aeroporto di Entebbe per sventare un attacco terroristico.

In questo modo dall’immagine sportiva si passa al documento storico, di fatto, anche inconsciamente, i colori, le caratteristiche di un determinato fotogramma diventano la carta d’identità di un periodo, di un lasso di tempo fatto di eventi, soluzioni, avvenimenti, di una sfera che abbraccia il codice culturale.

Jimmy Greaves

Come verrà storicizzata l’immagine sportiva del nostro presente? Potrà prendersi sulle spalle la cronaca di ciò che accade quotidianamente? Potrà farsi cultura?

La risposta è affermativa e potremmo già da ora ritrovare precisi riferimenti al nostro nuovo mondo occidentale. L’immagine dei nostri tempi è ossessiva e invadente, esalta la perfezione, la patina e si lega al sistema di un registro iconico veicolato H24 sui social e sui telefonini, continuamente reiterato sui network, nelle televisioni generaliste, in quel villaggio elettrico divenuto realtà a tutti gli effetti. Un’immagine ingombrante, che ha avuto ancor di più voce in capitolo durante i mesi di pandemia, in cui al deserto degli stadi e delle nostre città, si è affiancato lo sguardo digitale pronto a catturare ogni smorfia del viso, ogni parola fuori posto.

L’invadenza diventa metafora di una società legata indissolubilmente ad un duplice registro di realtà, quella quotidiana e quella mediale, quest’ultima caratterizzata da uno storytelling continuo e martellante. La perfezione dei contorni e di ciò che osserviamo diventerà forse quel documento storico di una società cambiata velocemente negli ultimi anni, con un’impennata rivoluzionaria cominciata nel 2020.

Non conosciamo il futuro, ma tra le immagini del Novecento e le immagini del nostro quotidiano, il solco si è fatto enorme riflettendo una memoria ampia e un presente inquieto.

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