L’Arminuta

  • Voto
3.5

L’Arminuta (vincitore del premio Campiello 2017) è un libro scritto da Donatella di Pietrantonio, edito da Einaudi, di una potenza unica: il linguaggio, il ritmo, i personaggi crescono in un ambiente non confortevole che li mette tutti costantemente alla prova con sé stessi. La lingua è asciutta, tagliente, a togliere più che a aggiungere; i dialoghi sono aspri, dialettali, tronchi: senza comunicazione non ci sono parole sufficienti per descrivere cosa si prova, se non si è abituati a usare quel mezzo – la voce – a scambiarsi, a fornire informazioni, a chiacchierare, a dichiarare amore.

Una trasposizione cinematografica da un’opera letteraria di rara unicità crea non poche ambiguità: il regista deve compiere per forza, al di là del suo volere, delle scelte che comporteranno inevitabilmente delle perdite. Qualcuno ha detto che da un cattivo libro si può fare un buon film ma, viceversa, da un grande libro cosa uscirà? Questa è la domanda che si pone lo spettatore che abbia letto il romanzo prima della visione del film: sarò deluso? La personificazione dei protagonisti risulterà verosimile alla precedente immagine di loro che la mente si è fatta durante la lettura? Sono molte le risposte che possono essere date.

La materia tra le mani di Giuseppe Bonito ( autore di Pulce non c’è, 2012, e Figli, 2020) era bruciante. La sceneggiatura, saggiamente affidata alla scrittrice in prima persona insieme alla sceneggiatrice Monica Zapelli, mantiene una quasi totale fedeltà alla pagina stampata, risultando subito aderente a una realtà che spedisce chi guarda in mezzo alla vicenda, in medias res: la protagonista (colei che corrisponde al participio passato – la ritornata – felicemente senza nome anche sullo schermo) viene restituita al mittente da un uomo goffo e silenzioso che la riconduce in montagna nella casa dove è nata, senza saperlo.

Con uno choc culturale, sociale ed emotivo la tredicenne dai capelli rossi passa da una cittadina di mare abruzzese in una casa agiata con due persone, un padre e una madre, che ritiene i suoi genitori, a una abitazione malmessa, isolata tra i monti, raggiungibile tramite un percorso impervio di curve e strapiombi, insieme a due adulti sconosciuti (i suoi genitori biologici), un neonato e altri quattro figli tra i diciassette e i dieci anni. La povertà piomba nella vita della ragazza insieme alla violenza dell’abbandono materno ma non la getta nello sconforto: lei osserva, parla poco, pensa molto, si muove con agilità nella difficoltà oggettiva di uno straniamento assoluto e completo.

L’arminuta è un personaggio coraggioso, talentuoso, pieno di risorse, un tipo difficile da scoraggiare: intelligente, sensibile, subito empatica con Adriana, sorellina tosta a cui si allea contro un silenzio familiare che non si squarcia neppure nei momenti di maggiore dolore come un lutto, contro una durezza pratica di chi la vita la deve conquistare ogni mattina in modo nuovo, contro un mondo adulto che nasconde segreti inimmaginabili, bugie e sospetti che susciterebbero solo sfiducia e scoramento. Un altro elemento della famiglia può nascondere possibilità di leggerezza, riso, affetto sincero: Vincenzo, un fratello mai vissuto come tale, dunque attraente e curioso quanto lei per lui. I momenti a tre col ragazzo quasi maggiorenne che lavora nei campi o nelle cave col padre, a seconda di quello che si trova, affascinato dal mondo rom col quale flirta fino a sparire per giorni e tornare con un bottino di refurtiva, e la decenne sveglia che in casa, spesso, si occupa delle faccende, del piccolino, di quel che si deve.

Le due madri – la biologica interpretata da Vanessa Scalera e la adottiva interpretata da Elena Lietti – incarnano due facce della stessa medaglia: entrambe insincere, vigliacche, con una affettività frenata da altre priorità (nuovi figli da crescere), entrambe traditrici della fiducia della ragazza nonostante una stima per le sue doti scolastiche dimostrata dalla cittadina con un continuo foraggiamento economico e dalla montanara sorridendo davanti ai complimenti della professoressa che le consegna l’attentato di migliore studentessa della scuola e all’orecchio le sussurra: “l’anno prossimo liceo classico, mi raccomando”.

Con voluta scelta di sottrazione nella costruzione delle scene e nell’uso moderato dei dialoghi, Giuseppe Bonito accompagna paesaggi da cartolina a contrasto con un violino dolente, sapiente nel tratteggiare l’emotività compressa di un colpo di scena: belle e ben dosate le musiche di Giuliano Taviani e Carmelo Travia. Nel complesso, dunque, un’operazione decisamente riuscita per la trasposizione cinematografica di un romanzo difficile e bellissimo.

Ps.:  Il film ha vinto il nuovo premio istituito da BNL Gruppo BNP Paribas che per la prima volta ha scelto di premiare, con un riconoscimento di 10.000 euro, alla Festa di Roma l’arte e la maestria di chi lavora dietro la macchina da presa: sceneggiatori, registi e autori, figure che hanno un ruolo di primissimo piano nel rendere il cinema un’emozione sempre nuova.

In sala dal 21 ottobre


L’arminuta –  Regia: Giuseppe Bonito; sceneggiatura: Donatella Di Pietrantonio, Monica Zapelli; fotografia: Alfredo Betrò; montaggio: Roberto Missiroli; musica: Giuliano Taviani, Carmelo Travia; interpreti: Sofia Fiore, Carlotta De Leonardis, Vanessa Scalera, Fabrizio Ferracane, Elena Lietti, Andrea Fuorto; produzione: Maurizio Tedesco, Roberto Sbarigia, Luigi Filippo Manzolino; ; origine: Italia, Svizzera, 2021; durata: 110’; distribuzione: Lucky Red.

 

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *