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Ziggy Stardust & The Spiders from Mars: il film uscì nel 1973, ora è possibile vederlo al cinema solo per tre giorni (3/5 luglio), e arriva per la prima volta anche nei nostri cinema, restaurato in versione digitale.
Più che un film può essere definito un evento assoluto della storia della musica rock e non solo.
Perché evidentemente vista la risonanza e l’influenza che questa figura immaginifica ha avuto in questi cinque decenni, possiamo comprenderne l’impatto e la profonda modernità o forse sarebbe più opportuno parlare di visionarietà.
Quello che accadde il giorno dello spettacolo a Londra, all’Hammersmith Odeon, il 3 luglio 1973 fu un duro colpo per tutti i fans del gruppo e del tanto amato alieno Ziggy Stardust, infatti dichiarò Bowie davanti a una platea ipnotizzata: “Questa è stata una tournée straordinaria. Tra tutti i concerti questo in particolare ci resterà impresso nella memoria. Non solo perché è l’ultimo della tournée, ma è anche l’ultimo che faremo. Grazie“.
David Bowie (1947-2016) uccise il tanto osannato Ziggy Stardust, il suo personaggio più famoso, colui che lo aveva reso immortale e celebre dal punto di vista discografico. Era nato solo un anno prima con l’uscita di The Rise and Fall of Ziggy Stardust and the Spiders from Mars, il concept-album che narra la storia una rockstar aliena arrivata sulla Terra, ma per David Bowie era il momento di distaccarsi da quel personaggio fantastico ma al contempo che gli andava stretto ai fini di un’evoluzione musicale.
Quel concerto magico in uno spazio al contrario di ciò che si potesse immaginare, piuttosto minimal, venne ripreso dalla mdp di uno dei massimi documentaristi americani, l’inventore del cosiddetto Direct Cinema, D.A. Pennebaker (1925-2019), autore tra l’altro di Bob Dylan Don’t Look Back (1967) o Monterey Pop (1968). Ne è nata una testimonianza visiva che ha contribuito a diffondere il mito di David Bowie e lo ha reso ineffabile, etereo come Ziggy Stardust.
Una delle parti più curiose e spettacolari di questo documentario è la ripresa del backstage e la preparazione al trucco nonché la vestizione della rockstar inglese, che ai tempi assieme ai “T Rex “ e Bolan, il suo frontman, rappresentava un’icona del gala rock mondiale.
Gli abiti ricordano molto il suo maestro teatrale Lindsay Kemp e il look quello di un vero e proprio essere “caduto sulla terra”: capelli rossi, occhi cerchiati di blu, le guance rosee.
L’impressionante folla di gente che lo attendeva davanti all’Odeon sin dalle prime ore del mattino è emblematico dell’amore che la figura di Ziggy avesse scaturito nei cuori di tutti coloro che si sentivano diversi e nobilitati nella loro alterità grazie a quell’essere sto del genio di Bowie.

Il palco nero, è caratterizzato da tre grandi cerchi con al centro una saetta. Hang On To Yourself, da Ziggy Stardust, inizia lo spettacolo, che è coinvolgente, e accompagnato dalla chitarra di Mick Ronson, il quale ai tempi significò molto per la resa delle performance.
Fondamentali per lo show furono però i trasformismi di David Bowie, che raggiunsero l’apice proprio con il personaggio di Ziggy, attraverso numerosi cambi d’abito, nelle movenze care a Bowie ereditate da Kemp.
Estatica l’immagine in cui Ziggy si toglie il mantello e sotto indossa un kimono di seta bianca a fiori, con le che lascia le gambe nude, con gli stivaloni alti fino al ginocchio, un mix di ribellione, sensualità e stramberia.
Quando inizia a cantare la canzone simbolo dell’album Ziggy Stardust, tutto vibra, sembra decollare, penetrare i corpi degli astanti: è rock potente, epico, unico, indimenticabile in quanto ad immagine e colori glamour.
Colori e immagini che hanno condizionato la storia e la società prima inglese e poi di tutto il resto del mondo.
Già dalle prime immagini è evidente che cosa possa aver rappresentato David Bowie in quel ormai lontano 1973 per tante persone. Per tutti coloro che si percepivano diversi dal “mainstream”, impossibilitati ad esprimersi, l’aver assistito all’ascesa e alla caduta di Ziggy Stardust deve avere rappresentato un evento senza precedenti. L’aura di spirituale sovversione del gender, che non può e non deve essere catalogato e costretto in nessuna definizione, è un simbolo dell’assoluta bellezza di quel personaggio, che riabilita tutti coloro che non vogliono sentirsi “catalogati” dalla società.
Altro pezzo di grande spessore Moonage Daydream, da cui prende il nome anche un altro film bowiano di grande impatto (per la regia di Brett Morgen, 2022) e brano simbolo dall’album vede un cambio di regia, in cui la mdp si concentra sul pubblico che segue il concerto in una sorta di trance, ipnotizzati dalla bellezza del suono e delle immagini.
Ascoltiamo poi altri due pezzi magistrali Changes e Space Oddity, il primo dalle assonanze teatrali evoca, come Time brani di Bertolt Brecht e Kurt Weill, in poche parole coloro che hanno cambiato per sempre la natura del teatro contemporaneo. Space Oddity, al contrario ci avvicina alla natura più intima di Bowie, anche grazie alla presenza di scelte strumentali che evocano un’atmosfera sci-fi.
Il concerto di Londra ha avuto per Bowie un valore universale e personale, in cui ha potuto concentrare tutto il suo valore di uomo e di artista, prima di procedere con un’ennesima evoluzione – si tratta di un concerto in cui Bowie, pur in un suono proiettato verso il futuro, guarda anche al passato e a tutte le sue influenze. La chiusura è una canzone di forte impatto, di puro rock’n’roll: Suffragette City.
Se volessimo descrivere il concerto all’Odeon con una parola dovremmo usare iconico: sì perché in esso si concentra tutta la maestria della performance musicale, ma anche della grande potenza visiva di cui solo Bowie è stato in grado di trasporre su un placo, grazie a costumi meravigliosamente unici.
È uno show in cui il grande artista londinese si esprime attraverso la sua musica ma anche attraverso gli abiti, che sono rimasti nella storia, come il famoso vestito a righe verticali verdi, rosse e oro, con delle vistose spalline e un collo rigido, che lo fanno sembrare ancora di più un alieno, la tuta monospalla verde e rossa che lascia una gamba coperta ed una nuda o i grandi orecchini potenzialmente amuleti di un alieno arrivato da uno spazio indefinito.

La “morte” di Ziggy Stardust è anche una rinascita e una cristallizzazione del personaggio alieno nell’immaginazione di un pubblico che lo amerà per sempre, fissandolo in nitidi ricordi, che non verranno mai sbiaditi dal tempo.
David Bowie chiude le scene con un’altra canzone simbolica dello show Rock ‘n’ Roll Suicide, interpretata più che cantata, conscio dell’impressionante emozione che quel pezzo potesse scaturire nelle anime di tutti coloro che lo ascoltavano ipnotizzati, ma anche consapevoli di aver assistito a uno dei più grandi eventi musicali di tutti i tempi
Le urla, dopo quel “non solo perché è l’ultimo della tournée, ma è anche l’ultimo che faremo” parlano chiaro. Ma in quelle parole c’è tutta l’essenza di David Bowie, che nella sua carriera sarebbe continuamente morto e risorto dalle ceneri come un’araba fenice, per reinventarsi continuamente.
Si chiude dunque con Rock ‘n’ Roll Suicide, la canzone perfetta per dire addio a Ziggy, che Bowie interpreta quasi recitando, ben conscio di essere in comunione con tutti coloro che non si sentono soli nelle loro esistenze grazie all’amore che hanno trovato nella sua musica e lo canta con grande energia e poesia”you’re not alone“, “non sei da solo”.
In sala il 3-4-5 luglio 2023
Ziggy Stardust and the Spiders from Mars: il film (Ziggy Stardust and the Spiders from Mars)– Regia e fotografia: D.A. Pennebaker; montaggio: Lorry Whitehead; interpreti: David Bowie, Mick Ronson, Mike Garson; produzione: Tony Defries, Edith Van Slyck; origine: Gran Bretagna, 1973; durata: 91 minuti; distribuzione: Nexo Digital.
