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All’età di 10 anni, Amjad Al-Rasheed (nato ad Amman, nel 1985) disse a sua madre che voleva diventare un regista, ammaliato dai film egiziani trasmessi sulla TV giordana. I suoi idoli erano Faten Hamama e Omar Sharif, il suo primo film al cinema fu Titanic di James Cameron. Un’esperienza enorme, irreale, come un sogno.
E così, mentre studiava economia ha anche creato un portfolio di film aziendali e cortometraggi con cui ha fatto domanda all’Istituto Cinematografico Red Sea della Giordania, che offriva il primo e unico programma di master in cinema della regione, riuscendo ad essere ammesso nella prima classe del 2008.
Dopodiché ha finalmente cominciato a dare forma al suo obiettivo, cominciando dalla realizzazione di spot televisivi per marchi come Samsung, a video musicali per popolari band giordane come Autostrad e Akher Zapheer, e a una manciata di corti tra cui Bitter Days (2010) e Hit The Road (2011). Ma è con il cortometraggio Parrot (2016) che, comincia a ottenere una certa visibilità, al punto da essere scelto, nel 2016, tra le “Arab stars of Tomorrow” una selezione di cinque giovani talenti tra i più promettenti provenienti da tutto il Medio Oriente. Un’iniziativa lanciata durante il 13° Festival Internazionale del Cinema di Dubai (DIFF) in collaborazione con Screen International.
E veniamo al suo lungometraggio d’esordio, questo Inshallah, A Boy, il primo film giordano in assoluto ad essere presentato a Cannes (nel programma 2023 de La Semaine du Critique) e lavoro dalla notevole caratura qualitativa.
La vicenda ruota attorno a Nawal, giovane moglie e madre, ottimamente interpretata da Mouna Hawa, che subisce la perdita del marito, e con lui se ne vanno praticamente tutti i diritti della poveretta: il cognato fa pressioni per farle vendere la casa così che possa ottenere, in base alla legge islamica, l’eredità dal fratello defunto. Nawal inizia a cercare un uomo per fecondarla al fine di mantenere il suo diritto, e quello della sua unica figlia, di conservare la loro casa.
Gli uomini offrono una immagine impietosa, e purtroppo realistica, della realtà sociale giordana, permeata da una mentalità che non contempla un’autonomia di pensiero e di volontà da parte della donna, lo stesso fratello di Nawal, invece di difendere la sorella, vigliaccamente le ripete di starsene tranquilla e non “creare problemi” mentre il cognato vuole praticamente privarla della casa e della figlia.

L’altro universo in cui si muove Nawal, ossia il suo ambiente di lavoro, si colloca in una residenza di alta borghesia, dove si occupa di una signora paralizzata, il suo collega di lavoro è un fisioterapista, unica figura maschile positiva: cerca di avvicinarsi a Nawal, offrendole comprensione, affetto, e la speranza di una nuova vita, ma Nawal non è pronta, invischiata ancora troppo a fondo nel suo dramma, nel suo lutto, e nella tossicità morale che la circonda. Finirà per allontanarlo.
Altri temi importanti, come quello dell’aborto, emergono: la figlia della sua datrice di lavoro non vuole avere il figlio che porta in grembo. Nonostante la differenza di classe, anche lei finirà per venire stritolata da una società che non ammette tali decisioni, stavolta per mano della stessa madre, a dimostrazione che la mentalità è perfettamente e parimenti incarnata da personaggi maschili e femminili.
Inevitabile il paragone con l’iraniano Asgar Farhadi, data la similitudine di tematica e di atmosfere, ed utile anche come pietra angolare per definire lo stile di Amjad Al-Rasheed. Quest’ultimo risulta leggermente più schematico, ma mostra già una grande padronanza nel tratteggio e nella sfumatura psicologica. Il calvario della protagonista è angosciante e sembra non finire più, ma il film non si appesantisce, simulando, come in uno specchio, la personalità determinata di Nawal, che non ha tempo neppure di abbandonarsi alla disperazione: nuove avversità si presentano, arrendersi sarebbe la fine, e su di lei incombe la terrificante meschinità del cognato Rifqui, perfettamente incarnata nell’interpretazione di Haitham Alomari, minaccioso e gretto. Questa non è la storia di “una giovane donna giordana dallo spirito libero che sfida le norme e le restrizioni”, ma, molto più amaramente, è la storia di un calvario infinito di chi cerca disperatamente di conservare l’unica ragione della sua esistenza, in una realtà misogina ed asfissiante. Consigliato
In sala dal 14 marzo 2024
Inshallah-A boy – Regia: Amjad Al-Rasheed; sceneggiatura: Delphine Agut,Rula Nasser, Amjad Al Rasheed; musica: Andrew Lancaster, Jerry Lane; fotografia: Kanamé Onoyama; montaggio: Ahmed Hafez; cast: Mouna Hawa, Haitham Alomari, Yumna Marwan, Salwa Nakkara, Mohammed Al Jizawi, Eslam Al-Awadi, Seleena Rababah, Siranoush Sultanian, Serene Huleileh, Mohammad Suleiman, Mona Shehabi, Areej Dababneh, Niveen Haddadeen, Assaf al Rousan, Nahla Al-Moghrabi, Ala Al-Riyahi, Mohammad Wasfi; produzione: The Imaginarium Films, Bayt Al Shawareb Georges Films; distribuzione: Satine Film.
