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Voto
Tra Ivan Lendl e Guillermo Vilas? Domanda inutile, risposta scontata. Per l’ex campione di tennis decaduto Raul Gatti la misura del talento non fa rima con la disciplina e il self-control dell’allampanato americano; conta l’imprevedibilità, l’estro argentino, la capacità di bruciare l’esistenza, ballare fino a notte fonda per poi, il mattino dopo, dominare il rettangolo di gioco. Di questo sogno però, in un’estate appena sbocciata, restano confusi ricordi e forse un’occasione di riscatto: fare da maestro a un tredicenne di nome Felice, carico delle aspettative paterne e pronto a un tour de force lungo la costa italiana per misurarsi nei vari tornei nazionali per giovani promesse.
Andrea Di Stefano sveste gli abiti noir de L’ultima notte di Amore per immergersi nei toni malinconici della commedia all’italiana. Sceglie il 1989, quasi a voler fotografare l’esatto punto di rottura tra i colori pastello di un decennio esagerato e il grigiore di quello che già bussa alla porta. A incarnare l’euforia incontrollata e l’obbligo di “restare sui binari” ancora il corpo attoriale di Pierfrancesco Favino, un mentore senza spina dorsale al quale, ben presto, Felice dovrà fare da paravento. Guardi Il maestro e pensi a Dino Risi, in modo strabico, oscillando tra l’identikit da adulto mai cresciuto di Bruno Cortona (Il sorpasso) e la sua versione di padre con figlio piccolo al seguito (Il giovedì, questo con Walter Chiari alias Dino Versini, altro campione di pressapochismo). Sullo sfondo il mare, le spiagge, gli alberghi a conduzione familiare: lo spirito di evasione che si abbevera di un (falso) tempo cristallizzato, dove un atleta ormai passato può ancora sedurre la fan della prima ora, dove gli occhiali da sole sono la maschera perfetta delle rughe – e delle lacrime – che segnano un volto.

Il maestro è un road movie pieno di svolte eppure simmetrico. Di Stefano prende il travelling aereo su una Milano notturna e cupissima col quale aveva aperto la sua precedente fatica e lo fa spiovere sulla terra rossa di campi arsi dal sole della riviera, mettendo in crisi il gioco difensivo del giovane Felice, un pallettaro che non ha mai conosciuto la via per scendere a rete. Ma se in Match point (per restare ancorati allo stesso sport) era una questione di dettagli, qui è una faccenda di posizionamento. Quando ci si accorge di essere rimasti indietro? Quando si trova il coraggio per andare avanti? Lo stesso posizionamento che Di Stefano sembra assumere al solo scopo di tradire, arrivando spesso a un passo dal patetico, dal lacrimevole per poi – sapientemente – virare altrove (guardare la scena in chiesa con ex-voto e Cristo-pronto-allo-smash, per farsi un’idea). Il risultato è un film che segue le maree emotive del suo protagonista, ora assecondandone gli eccessi, ora costringendolo a fare un passo indietro. Il rischio over-acting che la presenza di Pierfrancesco Favino porta invariabilmente con sé, si stempera in una regia che sa sempre allargare lo sguardo, in perpetuo movimento, a caccia di altri punti di vista, umori, sensazioni.
E poi c’è la chimica, innegabile, tra Favino e il giovanissimo Tiziano Menichelli, che tiene botta e non abbassa mai lo sguardo, che impara a mentire per salvare, che stretto tra un padre vero e uno improvvisato sceglie l’adozione temporanea, facendosi figlio dell’uomo che per una vita intera non ha fatto che fuggire dalla paternità. Cosa resterà di questi anni Ottanta, cantava Raf. Per Il maestro è molto chiaro: un cameo di Edwige Fenech in tuta sfavillante e scarpe col tacco, un sacchetto di gettoni telefonici, i polsini sudati di cotone. E la consapevolezza di aver perduto l’innocenza: meglio un uovo oggi o una gallina domani, domanda Raul a chiunque incontri. Lo spettatore ci pensa, riflette, ha una paura fottuta di scegliere. Ma il maestro ha già sentenziato, dice quello che certamente direbbero Bruno Cortona o Dino Versini: “meglio una gallina oggi!”
In anteprima Fuori Concorso alla Mostra di Venezia 2025.
In sala dal 13 novembre 2025.
Il maestro – Regia: Andrea Di Stefano; sceneggiatura: Andrea Di Stefano, Ludovica Rampoldi; fotografia: Matteo Cocco; montaggio: Giogiò Franchini; musica: Bartosz Szpak; scenografia: Carmine Guarino; interpreti: Pierfrancesco Favino, Tiziano Menichelli, Giovanni Ludeno, Edwige Fenech, Dora Romano, Valentina Bellè, Astrid Meloni, Chiara Bassermann, Paolo Briguglia, Roberto Zibetti, Fabrizio Careddu; produzione: Indiana Production (Marco Cohen, Benedetto Habib, Fabrizio Donvito, Daniel Campos Pavoncelli), Indigo Film (Nicola Giuliano, Francesca Cima, Carlotta Calori, Viola Prestieri), Vision Distribution, Memo Films (Francesco Melzi d’Eril), Sky, Playtime; origine: Italia, 2025; durata: 125 minuti; distribuzione: Vision Distribution.
