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Voto
Non so, non ho contato quante volte i Fratelli Jean-Pierre e Luc Dardenne sono stati al Festival di Cannes, in ogni caso hanno già vinto la Palma d’oro due volte: nel 1999 con Rosetta e nel 2005 con L’enfant – appartengono quindi a quel ristretto empireo di grandi registi che hanno avuto questo onore, insieme a Francis Ford Coppola, Shōhei Imamura, Emir Kusturica, Bille August (ohibò, ahimè!!!), Michael Haneke, Ruben Östlund e Ken Loach. Se è vero il detto che non c’è due senza tre, comunque anche quest’anno hanno arrotondato il loro bottino sulla Croisette con Giovani madri vincendo la Palma per la miglior Sceneggiatura. Giocheranno pure in casa e ciò forse li ha facilitati, ma c’è da rimarcare il fatto che il loro cinema, ormai da un’eternità, e facendo scuola in tutto il mondo, è diventato una perfetta e oliata macchina da guerra dove non si intravedono che minime crepe – non sarà nuovo di zecca, con il passare degli anni, ma resta sempre adamantino, sfiora la perfezione o quasi. Ed è costruito essenzialmente, com’è noto, sul low budget, su un grande, implacabile realismo di quanto narrato e sull’uso di attori, più spesso e più volentieri, non professionisti – praticamente tutti/e come in quest’ultimo caso, salvo le due madri della storia: India Hair e Christelle Cornil che, per altro, aveva già lavorato con i due Dardenne.
Prosegue così quell’ormai storico viaggio dei nostri Fratelli belgi all’interno dei corpi di creature ferite e marginali. Lo fanno questo viaggio a cadenza regolare di un film ogni circa tre anni – i loro due scorsi, lo ricordiamo, si intitolavano L’età giovane (2019) e Tori e Lokita (2022) – e per mezzo del loro inconfondibile stile segnato dalla esuberante presenza della macchina a mano e da lunghi piani-sequenza. Non posso quindi che ripetermi qui e perdonate questa autocitazione dalla mia recensione a Tori e Lokita per cui avevano ricevuto appunto a Cannes il Premio speciale del 75°. Scrivevo allora: “sono convinto, sono estremamente convinto che la semplicità sia una dote somma nell’arte (e non solo lì). Semplicità – si badi bene – non significa semplificazione, semplicismo, banalità, pauperismo d’idee, ecc. bensì qualcos’altro: la meravigliosa capacità di arrivare al nocciolo delle cose (o dei sentimenti) con tocchi di pollice minimi, quasi impercettibili. Una dote che per esempio in Francia ha posseduto al cinema uno dei suoi sommi maestri, Robert Bresson”.
Il che accade puntualmente anche in Giovani madri con la differenza che qui il numero delle figure descritte si è moltiplicato rispetto al passato. Jessica, Perla, Julie, Ariane (e Naïma che, però. presto sparisce di scena) sono delle giovanissime madri che convivono in una casa- famiglia che le accoglie. Ma non è solo il luogo dove si sono rifugiate, che condividono, è soprattutto una scomoda condizione e un passato-presente amaro che accomuna queste quattro adolescenti segnate e piagate da tante difficoltà, disillusioni e solitudini, a cui loro, però e per fortuna, oppongono la volontà della ragione di andare avanti malgrado tutto. Così silenziosamente anche se con scenate, litigi e incazzature varie, dopo aver magari avuto un parto impegnativo o esser ricadute per l’ennesima volta nei tentacoli della droga, tra pannolini, rotture traumatiche e prima di tutto sogni infranti, combattono, sono costrette a combattere, per un futuro diverso e migliore per se stesse e per i propri bebè. La lotta è difficile, si perdono a volte delle piccole/grandi battaglie ma non la guerra, sino che lentamente si comincia ad intravedere un sottile ma sicuro filo di speranza.
Toccante, senza inutili patetismi, stringente, un colpo allo stomaco come il suo icastico titolo, Giovani madri descrive, con il consueto stile asciutto da documentario e con una gran presenza della mdp, un inanellarsi in parallelo di vicende simili ma diverse l’una dall’altra come diverse sono le varie protagoniste ognuna segnata a proprio modo dalla vita e dalle relazioni umane, familiari e con i loro ex-compagni. Diversamente da altre opere dei Dardenne, più costruite su pochi personaggi, qui lo spettatore è chiamato a una grande attenzione e a non distrarsi mai nel corso del film, per non perdersi nell’intreccio dei diversi fils rouges – e talvolta, forse, proprio qui sta l’unico neo di bellezza che si potrebbe rimproverare ai filmmaker belgi.
Per i Dardenne vale, dunque, un celeberrimo verso del poeta Friedrich Hölderlin “Wo aber Gefahr ist, /wächst das Rettende auch” (e cioè: “Dov’è il pericolo, è anche la salvezza”). Lo straordinario in un film come Giovani madri sta nel modo in cui riesce, per merito di quella virtuosa semplicità di cui si parlava sopra, a mostrare questa “salvezza” e a renderla credibile allo spettatore.
Quattro belle stelle tonde ancora una volta.
Premio per la migliore Sceneggiatura al Festival di Cannes 2025.
In sala dal 20 novembre 2025.
Giovani madri (Jeunes Mères ) – Regia e sceneggiatura: Jean-Pierre e Luc Dardenne; fotografia: Benoît Dervaux; montaggio: Tristan Meunier, Marie-Hélène Dozo; scenografia: Igor Gabriel; interpreti: Lucie Laruelle (Perla), Babette Verbeek (Jessica), Elsa Houben (Julia), Janaïna Halloy Fokan (Ariane), Samia Hilmi (Naïma), Jef Jacobs (Dylan), Günter Duret (Robin), Christelle Cornil (Nathalie, la madre di Ariane), India Hair (Morgane, la madre di Jessica), Joely Mbundu (Angèle), Claire Bodson (Isabelle), Eva Zingaro (Asun), Adrienne D’Anna (Yasmine), Mathilde Legrand (Lucie), Hélène Cattelain (Sylvie), Selma Alaoui (La direttrice Betty); produzione: Delphine Tomson per Les Films du Fleuve, Archipel 33>35, The Reunion; origine: Belgio/Francia, 2025; durata: 105 minuti; distribuzione: BIM, Lucky Red.
