Sono convinto, sono estremamente convinto che la semplicità sia una dote somma nell’arte (e non solo lì). Semplicità – si badi bene – non significa semplificazione, semplicismo, banalità, pauperismo d’idee, ecc. bensì qualcos’altro: la meravigliosa capacità di arrivare al nocciolo delle cose (o dei sentimenti) con tocchi di pollice minimi, quasi impercettibili. Una dote che per esempio in Francia ha posseduto al cinema uno dei suoi sommi maestri, Robert Bresson.
Da tempo qualcuno si lamenta che i Fratelli Dardenne siano diventati sempre più monocordi o che abbiano abbandonato il loro lato più sperimentale nella forma, quel dogma (ormai diventato prezzemolo) della camera a spalla da dietro in continuo movimento. O ancor peggio che si siano troppo commercializzati.
A tutti questi critici, ma assolutamente non solo a loro, consigliamo di vedere questo piccolo gioiello che, in un sapiente mix di rigore e voglia comunicativa, ha vinto allo scorso Festival di Cannes il Premio speciale del 75° – a quella manifestazione, la loro preferita, nella quale avevano ricevuto, per ben due volte, la Palma d’oro con Rosetta (1999) e L’Enfant – Una storia d’amore (2005).
In questo loro ultimo film si entra subito in medias res: Lokita, (una eccellente Joely Mbundu), una ragazza africana di sedici anni viene interrogata all’ufficio immigrazione. Sta cercando di avere il visto di soggiorno in Belgio dove è arrivata passando per l’Italia dopo un lungo e avventuroso tragitto dal Camerun in cui ha lasciato, per necessità, la madre e cinque fratellini. Nel viaggio ha conosciuto Tori (eccezionale Pablo Schils che lo interpreta), un intelligentissimo ragazzino di 11 anni con cui ha stretto un rapporto fraterno. Ma mentre lui ha ottenuto asilo perché riconosciuto come un bambino-stregone minacciato in patria, Lokita corre il pericolo di essere rispedita a casa. Perciò cerca di spacciarsi per la sorella maggiore di Tori e, così, poter restare assieme a lui in Europa.
I due vivono in modo simbiotico di vari espedienti per riuscire a mantenersi e in più la ragazza deve mandare dei soldi al resto della famiglia restata in Africa. Bazzicano un ristorante italiano dove in cucina troviamo uno squallido personaggio, Betim (Alban Ukaj), che utilizza l’attività di cuoco come copertura per un giro di droga nella quale Tori e Lokita (ma lei anche per altro…) vengono usati come corrieri.
È qui ci interrompiamo nel riferire gli sviluppi della vicenda che sfiora il thriller, anche perché è più semplice da vedere – appunto con quella “semplicità” d’approccio di cui sopra si diceva- piuttosto che da raccontare sulla carta.
Jean-Pierre Dardenne e Luc Dardenne hanno sceneggiato e diretto questo racconto morale di immoralità pubblica per descrivere il maggior e più prolungato dramma che da tempo attanaglia la nostra società europea: quello dell’immigrazioni dai paesi poveri del mondo. Senza fronzoli, senza banali scorciatoie, senza facili moralismi o soluzioni miracolistiche.
In Tori e Lokita la comunicazione narrativa scorre fluida, priva di psicologizzazione dei personaggi né cercando, ad effetto, la lacrima scontata di uno spettatore cosciente del problema, che non pensi a priori di risolverlo bloccando le frontiere o rispedendo al mittente il “pacco” dell’emigrazione. Nel microcosmo descritto dal film alla fine tutti sono cattivi, bianchi e neri, a parte i due protagonisti che cercano di sopravvivere. Ce la faranno?
Toccante, mai patetico, stringente, Tori e Lokita descrive, dunque, nello stile asciutto da documentario, una storia minimalista alla Bresson senza la speranza (e la consolazione) spirituale che animava l’opera magistrale dell’autore francese. Come per esempio in Au hasard Balthazar (1966), assistiamo ad una parabola sulla vita e la morte non di un asino ma di due giovanissimi immigrati africani che si trasforma in una riflessione sul male contemporaneo e sulle sue influenze nella vita degli uomini. In modo laico, assolutamente essenziale al pari della musica (quasi inesistente) del film: sentiamo la canzone di Angelo Branduardi “Alla Fiera dell’Est” cantata dai due adolescenti a mo’ di karaoke nel ristorante di Betim e percepiamo che la hanno imparata in Italia nel loro lungo cammino della speranza. Così si fa cinema con la C maiuscola – non su un Problema astratto (l’emigrazione) ma su chi da essa è toccato e coinvolto sino alle estreme conseguenze.
Assolutamente da non mancare.
In sala dal 24 novembre 2022
Cast&Credits
Tori e Lokita (Tori et Lokita) – Regia e sceneggiatura: Jean-Pierre Dardenne, Luc Dardenne; fotografia: Benoit Dervaux; montaggio: Marie-Hélène Dozo; scenografia: Igor Gabriel; interpreti: Schils Pablo, Mbundu Joely, Marc Zinga, Claire Bodson, Baptiste Sornin; produzione: Archipel 35, Les Films du Fleuve, Savage FilmProduzione:Archipel 35, Les Films du Fleuve, Savage Film; origine: Belgio/Francia, 2022; durata: 88’; distribuzione: Lucky Red