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Voto
Tutto si può fare, tutto è stato già fatto, narrato, descritto nei più minuziosi dettagli. Scandagliare la deriva finale di una coppia è mettere le mani nel torbido, nella noia, nelle mancate aspettative l’uno per l’altro: sporcarsi, sbavare di vergogna, singhiozzare, ricredersi, fare l’amore, piangere piangere piangere. E parlare. Ce lo hanno insegnato, trai tanti, Bergman, Truffaut, Kureishi: tutti hanno sentito la necessità, una volta nella vita, di dire la propria riguardo al lasciarsi. Lasciarsi lascia strascichi, ferisce entrambi i membri della coppia, il consenziente e colui/colei che subisce la separazione, lasciarsi è tragico e comico assieme, è un fatto della vita, è la natura che non ci vuole monogami, è la libertà che ha il richiamo potente della pancia.

Tratto da un breve libro scritto da Ivan Cotroneo durante il lockdown (firmato assieme a Monica Rametta, edito da La nave di Teseo), Quattordici giorni espone le miserie di un uomo e una donna, che stavano lasciandosi, costretti a una forzata convivenza di quattordici giorni: la quarantena prevista per legge se si è stati a contatto diretto con un contagiato da virus.
L’unità di luogo, tempo, azione rimanda immediatamente al teatro e al Kammerspiel: due attori (Carlotta Natoli e Thomas Trabacchi, entrambi bravissimi, coppia nella vita reale) interpretano Marta e Lorenzo, uniti da quindici anni, senza figli, che vivono in una bella casa con vista, in procinto di prendere strade diverse, separate. L’uomo ha un’altra, lei lo ha scoperto per caso e lo ha mandato via. L’inconveniente pratico li obbliga a protrarre la convivenza di due settimane in cui finiranno per esplicitare meglio le ragioni per cui la loro storia è precipitata.
Per nulla teatrale nonostante l’assetto, i due interpreti sono disinvolti nei ruoli: nei loro occhi brilla qualcosa di spontaneo e forte, il legame si sente nonostante la regia abbia giocato a tenerli quasi sempre distanti (per far risuonare con la grancassa, a contrasto, quando poi si avvicinano), quasi sempre educati, quasi sempre formali. Hanno mantenuto una facciata, come se dal terrazzino di fronte potessero venire osservati e studiati con occhio da entomologo dai vicini di casa come fa Marta, che si diverte a spiare e interpretare la famiglia sconosciuta, come in uno specchio.
Diviso in quattordici capitoli, uno per giorno, il film è composto da scene simboliche in cui, in ognuna, esce un pezzettino marcio della strada compiuta assieme, un pezzo di puzzle che va a ricomporre – nel quadro generale – l’immagine totale della loro storia.
A tratti comico – a Carlotta Natoli sono destinate le battute più divertenti – spesso drammatico, Ivan Cotroneo si affretta a dichiarare che non esistono regole per separarsi, se davvero è quello che si vuole. Non a caso, dopo l’ultimo titolo di coda, appare un esplicito cartello: “A tutte le coppie che non hanno avuto quattordici giorni per capire se ne valesse la pena davvero”.
Quattordici giorni – Regia: Ivan Cotroneo; sceneggiatura Ivan Cotroneo, Monica Rametta; fotografia Luca Bigazzi; montaggio: Ilaria Fraioli ; interpreti: Carlotta Natoli, Thomas Trabacchi; produzione: Indigo Film; origine: Italia, 2021; durata: 102′.
