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Voto
Chissà come si sarebbe trovata la piccola Meilin Lee, soprannominata Mei, eroina di ultima generazione di Red, ultima produzione della Disney-Pixar, in un romanzo di Jane Austen, la scrittrice inglese di appassionati e ironici romanzi sulla condizione di giovani donne, colte spesso proprio nel passaggio tra la pubertà e l’età adulta, nella rigida e classista società inglese dei primi dell’ottocento.
Questa domanda forse un po’ velleitaria, che non c’entra affatto con il mood , il design e l’aspetto cosi contemporaneo, e certo privo di crinoline e corsetti, del film, in realtà ha una sua ragion d’essere rispetto ad uno dei nuclei centrali intorto a cui ruota l’animazione e la narrazione, e cioè il rapporto tra emotività e raziocinio, tra istinti e controllo, tra ragione e sentimento, per dirla appunto in termini di dicotomie austeniane. Se le sorelle Dashwood protagoniste di Sense and Sensibility avevano però a che fare con il conflitto tra la sensatezza della maturità e di un matrimonio d’interesse e gli spontanei, entusiasmanti tumulti dei primi innamoramenti, Meilin Lee si trova a fare i conti con un evento fantastico e soprannaturale, e insieme personale e intimo: la trasformazione del suo corpo in una forma nella quale non si riconosce più.
Appartenente ad una morigerata famiglia cinese emigrata in Canada, questa tredicenne vulcanica (una sorta di Mafalda cresciuta e accelerata dalle precoci nevrosi dei performativi adolescenti 2.0) scopre traumaticamente, in concomitanza con le prime spinte ormonali verso i ragazzi, di potersi trasformare in un enorme panda rosso ogni volta che prova una qualche emozione forte, in particolare la rabbia, quella socialmente e culturalmente più bandita, repressa, stigmatizzata. Un evento straordinario e transitorio proveniente da una maledizione ereditata dalla linea di un matriarcato leggendario che ha poi trasmesso tutta una ritualità concepita per contenere questo fenomeno, trasformandolo in una fase di passaggio dalla giovinezza alla maturità, con la conseguente, inevitabile e decisamente punitiva rinuncia ad una parte di se stessi.

La simbologia del colore rosso è chiara e abbastanza audace per un cartone Disney e introduce in maniera evocativa e al tempo stesso diretta, o quanto meno di efficace impatto visivo, l’esperienza del primo ciclo mestruale come il contatto con l’incontenibile, caotica, informe animalità (sempre rigorosamente antropomorfa) di una giovane che, con esuberante e famelica volontà, rivendica il proprio posto nel mondo. Se, giunti a questo punto, dovessimo fare un confronto con la classiche eroine del nostro immaginario disneyano, potremmo dire che all’eleganza, alla grazia e alla bamboleggiante staticità sempre più attraversata da fremiti e pulsioni (da Biancaneve fino alla Belle de La bella e la bestia), si sovrappone qui l’irruenza programmaticamente goffa e simpatica di Mei e del suo eterogeneo gruppo di amiche , dove c’ è altrettanto programmaticamente una varietà di caratteri tipici e di immediata riconoscibilità (l’ottimista, la laconica, la burbera) .

In effetti , quello che si vorrebbe guadagnare in vicinanza a dei modelli di più facile identificazione per i bambini, si perde in ambiguità e spessore , come se la tridimensionalità sempre di altissimo livello tecnico dell’animazione in qualche modo dovesse compensare da ogni passaggio enunciato, didascalico, in cui l’immagine pur strabiliante si presta e si piega a farsi portatrice di un messaggio edificante, generando più un collaudato brand di reazioni a comando, che un’autentica emozione o un’ispirata riflessione. Probabilmente è una tendenza di questo nuovo corso Disney che, nel tentativo di rappresentare e rispettare tutte le sensibilità, ha paradossalmente imbrigliato proprio l’irregolare, catastrofico, impulsivo panda rosso di Mei dentro la cristalleria di valori e principi che normalizzano e contengono nell’orizzonte di una morale o anche solo di un motto, molte altre prospettive di sguardo, di pensiero, di sentimento. Il rapporto intenso ma conflittuale che la nuova, ribelle Mei ha con la madre oppressiva ed esigente, e quello che quest’ultima ha a sua volta con il ramo femminile della sua famiglia d’origine, è ad esempio un argomento molto sentito dalla regista, a tal punto che lo fa spiegare ai personaggi, quasi non fidandosi abbastanza delle notevoli, suggestive soluzioni visive che è riuscita a creare: il narrare la leggenda del panda rosso attraverso una stilizzata e raffinata animazione bidimensionale che ricorda la poesia di Isao Takahata (La storia della principessa splendente); lo scontro finale tra Mei e la madre “evoluta” (come facevano i Pokemon o i Digimon, cartoni pieni di mutazioni e trasformazioni continue molto popolari nei primi anni duemila) a super panda da combattimento; l’arrivo della madre di Mei come mega panda nello stadio di Toronto dove si tiene il concerto dell’immaginaria boyband 4*Town (altra idea vintage) che sembra l’apparizione del gigantesco pupazzo dei Marshmallow posseduto dal demoniaco Gozer in Ghostbusters.

Insomma il godimento cinefilo per gli occhi, il rimando ad un ad un immaginario più aperto e contaminato c’è ed intrattiene, ed è lodevole il discorso sulla necessità di non soffocare le proprie parti più sgradevoli e problematiche, facendole convivere come nel passaggio da una dimensione all’altra di identità sempre più fluide (bellissimo il momento in cui Mei, invece di separarsi dallo spirito del suo panda, sceglie di compenetrarlo). Rimane però addosso un senso un po’ meccanico ed esteriore di un prodotto costruito abilmente per un target un po’ anestetizzato dalla serialità e in cerca di un divertimento che invece di spiazzare come saprebbe anche fare ( i disegni “erotici” fatti da Mei al commesso del minimarket del quartiere), alliscia il pelo del nostro panda sempre più addomesticato e di bocca buona , che ha non ha più la voglia matta di una visione più grande della vita (almeno di quella domestica) ma regredisce all’indolente oralità di chi divora qualsiasi prodotto esca fuori dalla catena di montaggio della fabbrica di sogni preconfezionati.
Dall’11 marzo su Disney+
Red (Turning Red)– Regia: Domee Shi; sceneggiatura: Domee Shi, Julia Cho, ; musiche: Ludwig Goransson; voci: Rosalie Chiang, Sandra Oh, Ava Morse, Wai Ching Ho, Maitreyi Ramakrishnan, Finneas O’Connel; produzione: Pixar Animation Studios, Walt Disney Pictures; origine: Usa, 2022; durata: 100’; distribuzione: Walt Disney.
