Perché se una messa in scena di Shakespeare è fatta bene, lo si capisce da due cose: se il testo è stato capito e se il testo viene capito. Nel primo caso dal regista, nel secondo dallo spettatore. A ogni opera del Bardo appartiene infatti una caratteristica propria: Otello è la tragedia della gelosia, Macbeth quella dell’ambizione, Romeo e Giulietta il dramma d’amore. L’Amleto ha invece la caratteristica prima che la rende l’opera più rappresentativa del suo autore: è una tragedia di teatro. Sul teatro. E questo il regista Barberio Corsetti lo ha inteso perfettamente e altrettanto perfettamente lo ha voluto far capire a noi, allo spettatore.
Potrei essere rinchiuso in un guscio di noce e tuttavia ritenermi Re di uno spazio infinito, se non fosse che faccio brutti sogni.
Perché l’Amleto parla di come un giovane, appunto Amleto, utilizzi l’arma a lui più vicina, il teatro, per reagire a un evento crudo e reale: la morte del padre, e non solo. L’omicidio del padre. Il tradimento della madre. E come l’utilizza il teatro, il suo strumento, Amleto? All’ennesima potenza. Al quadrato: tutto diventa teatro, scenografia personaggi attori narrazione tono… ogni cosa prima di essere realtà è finzione. Ma attenzione: Amleto prima di fingersi pazzo è sano. Amleto prima di essere pazzo è Amleto, e chi sia in realtà Amleto è la domanda. Prima che sia vendetta, prima che diventi altro. E di nuovo Giorgio Barberio Corsetti e Fausto Cabra, il nostro Amleto, il punto focale lo hanno capito.
Ma si faccia lezione di ripasso. Chi è Amleto e che gli succede. Amleto è il principe di Danimarca. Torna a Elsinora per la morte del padre omonimo e trova la madre pronta a sposarsi con lo zio. Lo zio lo rassicura: tu sarai l’erede, ma questo ad Amleto non interessa. Si confida con l’amico Orazio e l’amico Orazio si confida con lui: ha visto un fantasma, sulle mura, e quel fantasma era simile al re ucciso. Presto detto, Amleto incontra il padre e questi gli rivela il suo omicidio per mano dello zio, con tacito (o meno) assenso della madre. Amleto sragiona, diventa pazzo. Per finta o veramente? Polonio, il consigliere del re, crede che lo sia per davvero. Per quale motivo? L’amore per uno dei suoi figli, la bella Ofelia. Ma Amleto non ha tempo per le donne, non ora, deve capire e per capire deve essere pazzo.
Vostro figlio è pazzo, cosa voglia dire poi che sia pazzo, lo sa solo un pazzo.
Pazzo perché gli sia permesso tutto, pazzo perché possa inscenare l’Assassinio di Gonzago, spettacolo teatrale che riproduce fedelmente l’assassinio di qualcun altro, del proprio padre. Pazzo perché gli sia permesso di gironzolare per la stanza e guardare negli occhi il re: osservare come lui reagirà nello scorgere se stesso e al contempo qualcun altro – potere del teatro – compiere il gesto più empio che esista a questo mondo:
Uccidere il proprio re, e così il proprio fratello.
Si va così in scena.
E fin da subito lo si chiarisce: Amleto è instabile. Non è però instabile perché Instabile, perché Pazzo, come se fosse la quintessenza di un’alterazione psichica, ma instabile perché Amleto era un giovane, bello, educato, brillante – insomma una quintessenza sì, ma di polvere – che è cresciuto in un castello fisico e un castello mentale – da vero attore, regista che è – si è costruito finché la morte del padre, avvenuta in circostanza sospette, non lo ha scosso dalle fondamenta. Tanto l’uno che l’altro castello. Ora deve sopravvivere. E così, tra l’
Essere e non essere
decide di essere, vivere qui, nella realtà, ma a suo modo, attraverso una nuova costruzione mentale, duplice e doppia, architettata finemente fino all’ultimo mattone. Barberio Corsetti fa così qualcosa di non scontato: lo capisce e agisce di conseguenza. Lo segue nella sua (finta) pazzia. Le persone sono personaggi, i personaggi attori, gli attori a loro volta attori, Elsinora è una corte marcia con manichini fumanti là sopra, lì sotto, giù in fondo, e la scenografia risulta artificiale perché composta e mano a mano scomposta, decomposta, in modo palese e, soprattutto, dichiaratamente posticcio: i tecnici, con tanto di cuffia alle orecchie ben visibili, non hanno remore a mostrarsi mentre rivoltano come un guanto la scenografia che si fa orizzontale, verticale, addirittura obliqua. Saltano i piani. Il grande trucco – partorito dalla mente di Amleto, colta e amplificata dalla regia – si disvela: più una cosa è esplicitamente finta, più è credibile e può agire sul reale. E l’effetto è presto detto.
Le parole enfatiche del bardo, ridondanti e ampollose, si contestualizzano. Il tono da tragedia s’infarcisce del comico, marchio di fabbrica dell’autore nonché della grande letteratura tutta. Le grandi emozioni, quell’insensatamente tragico, tanto shakespeariano, è talmente insensato da ricadere al suolo e lì acquisire credibilità. E si torna ad Amleto, che ripete saggiamente
Essere o non essere? Essere presenti è tutto.
E la sua pazzia diventa cosa terrena, diventa cosa sana. Diventa l’agire sensato di un giovane che deve vivere in un mondo di bugie e che a Ofelia grida ripetutamente
Chiuditi in un convento! Chiuditi in un convento!
Perché anche lei capisca che siamo giunti a un punto in cui rinchiudersi in un castello, fisico o mentale che sia, è forse l’unica soluzione. Prima che la falsa pazzia lasci spazio a quella vera. A quella che non salva nessuno. A quella che porta acqua nei polmoni, veleno nelle vene e sangue sul palcoscenico. Abbiamo abbandonato la finzione, sia quella di prima mano sia quella di seconda, e siamo qui. Siamo nel mondo reale. Amleto è fra di noi, noi siamo con lui.
Amleto (Hamlet) di William Shakespeare; traduzione: Cesare Garboli; adattamento e regia: Giorgio Barberio Corsetti; scene: Massimo Troncanetti; costumi: Francesco Esposito; luci: Camilla Piccioni; musiche e vocal coaching: Massimo Sigillò Massara; movimenti: Marco Angelilli; assistente alla regia: Tommaso Capodanno; assistente scenografa: Alessandra Solimene; foto di scena: Claudia Pajewski; interpreti: Fausto Cabra, Francesco Sferrazza Papa, Giovanni Prosperi, Dario Caccuri, Paolo Musio, Diego Giangrasso, Pietro Faiella, Sara Putignano, Mimosa Campironi, Francesca Florio, Adriano Exacoustos, Iacopo Nestori; produzione: Teatro di Roma – Teatro Nazionale.
Info e orari
Teatro Argentina (Rm)
prima, martedì, venerdì, giovedì 1 dicembre ore 20.00
mercoledì e sabato ore 19.00
domenica, giovedi 17 e 24 novembre ore 17.00
lunedì riposo
durata 2 ore e 40′ comprensivo di intervallo