Con Rabyie Kurnaz vs George W. Bush, il regista tedesco Andreas Dresen (per la quarta volta in Concorso alla Berlinale) non è il primo ad avvicinarsi a una delle macchie politico-giuridico-umanitarie più indecenti dell’ultimo ventennio, ossia la scandalosa sospensione dei più elementari diritti civili e giudiziari costituiti dalla base di Guantanamo all’indomani dell’11 settembre del 2001. Ricordiamo per lo meno il film di Michael Winterbottom, presentato nel 2006 a Berlino e intitolato The Road to Guantanamo o ancora ricordiamo The Mauritanian di Kevin Mac Donald (https://close-up.info/1773-2/), anch’esso presentato a Berlino, l’anno scorso, nell’edizione on line e ora visibile su Prime Video.
Persino la vicenda raccontata da Dresen è stata trasposta per il cinema già una volta, era il 2013 e il film s’intitolava 5 Jahre Leben (Cinque anni di vita) ed era tratta dal memoir autobiografico del protagonista Murat Kurnaz, detenuto appunto cinque anni a Guantanamo e al centro di un caso giudiziario in cui il governo tedesco rosso-verde (cancelliere Gerhard Schröder, ministro degli esteri Joschka Fischer) si è comportato malissimo. La figuraccia del governo tedesco consiste nel fatto che gli americani si erano dichiarati disposti a restituire il prigioniero; Kurnaz aveva solo avuto la sfortuna di trovarsi in un luogo sbagliato (Karachi) al momento sbagliato, ma per il resto era parso fin da subito, anche agli occhi dei servizi segreti, un personaggio sostanzialmente innocuo. I tedeschi avevano preferito tuttavia lasciarlo a Guantanamo, anche tenendo conto del fatto che nei quasi vent’anni di permanenza in Germania, Kurnaz non aveva mai preso la cittadinanza tedesca, tant’è che a un certo punto la questione ha finito per coinvolgere anche la Turchia. Solo grazie all’avvento di Angela Merkel che in occasione della prima visita da cancelliera negli USA, pose subito la questione, è stato possibile pervenire a una soluzione. Questo il modo più succinto per raccontare fatti, sia sul piano giuridico che su quello politico piuttosto complicati.
Che cosa ha fatto Dresen? Non avendo nelle proprie corde l’afflato colmo d’indignazione tipico del regista di film di denuncia, ma essendo piuttosto incline a raccontare empatiche storie dal basso con un tono realistico, conciliante e fondamentalmente ottimista, ha deciso di non narrare la storia dalla prospettiva del diretto interessato Murat, bensì dalla prospettiva della rutilante e iperattiva madre Rabyie, nonché dalla parte di Bernhard Docke, il calmo ma risoluto avvocato di Brema, esperto di diritti civili a cui la donna turco-tedesca si rivolge.
Ne è venuto fuori un film dignitoso, per carità, ma un po’ indeciso, un po’ film civile, un po’ court movie (tutta la scena alla corte suprema degli USA, in cui Dresen si concede un cameo come giudice americano; peraltro il regista dal 2012 è giudice costituzionale del Brandeburgo, quindi le questioni giuridiche lo interessano non poco), un po’ film interetnico e interlinguistico, con un continuo shifting fra tedesco e turco e, dopo la trasferta a Washington, anche inglese; e infine un po’ anche film comico-grottesco, soprattutto in grazia dell’attrice che interpreta la donna, una comedian turco-tedesca che risponde al nome di Meltem Kaptan e che si candida senza dubbio all’Orso d’Argento come migliore attrice. Bravissimo anche Alexander Scheer, celebre attore in patria, che interpreta e per certi aspetti imita l’avvocato Docke; del resto gli originali, ovvero gli interpretati, si sono presentati insieme agli attori che li rappresentano sul tappeto rosso di Berlino, autentificazione estrema, se mai ce n’era bisogno dell’intero progetto che in più momenti rappresenta – fin dal titolo – l’ennesima variante del modello Davide contro Golia.
Chiaro che Dresen e la sua fida sceneggiatrice Laila Stieler hanno proceduto per lunghe campiture temporali, per grandi ellissi, punteggiando il racconto con didascalie che vanno dal “Giorno 1” al “Giorno mille e rotti” che segnano con tutta evidenza solo alcuni momenti salienti ma intendono al contempo dimostrare quanto a lungo la storia si sia protratta. L’esercizio di tenacia ma soprattutto di pazienza di mamma Kurnaz (per due anni e mezzo non succede assolutamente nulla!) non si presta più di tanto a un’avvincente drammaturgia – ma anche così l’indecisione di genere rende il film qua e là un po’ sgonfio, certamente non fra i migliori di quelli girati dal regista tedesco. Ciò malgrado in Germania il film sta avendo ampia eco.
Cast & Credits
Rabyie Kurnaz gegen George W. Bush – Regia: Andreas Dresen; sceneggiatura: Andreas Dresen, Laila Steiler; fotografia: Andreas Höfer; montaggio: Jörg Hauschild; interpreti: Meltem Kaptan (Rabyie Kurnaz), Alexander Scherr (Berrnhard Docke), Charly Hübner (Marc Stocker), Nazmi Kirik (Mehmet), Sevda Polat (Nuryie); produzione: Pandora Filmproduktion, Colonia; origine: Germania, Francia 2022; durata: 119′