Nata nel 1960 Hiam Abbass è un’attrice palestinese piuttosto famosa, la sua filmografia, comprendente anche produzioni cinematografiche e televisive internazionali, è molto ampia, IMdB segna ben 95 entries. Fra gli altri ha recitato con Steven Spielberg, con Amos Gitai, con Radu Mihaileanu, con Jim Jarmusch e Patrice Chéreau. In TV nell’acclamata serie Succession. A Venezia si è presentata nel 2012 (Venice Days) con il suo unico lungometraggio da regista intitolato Héritage. È stata inoltre giurata nei concorsi dei festival di Berlino, Deauville e anche Cannes (nell’anno, sempre il 2012, in cui era presidente Nanni Moretti).
Hiam Abbass è adesso la protagonista di un documentario girato dalla figlia Lina Soualem, regista quasi esordiente cresciuta in Francia con cui Abbass nel corso del film continuamente interagisce. Si tratta infatti di dare vita a un complesso progetto di memoria familiare condivisa, rigorosamente declinata tutta al femminile. Una storia che viene costruita nel suo farsi e che prevede come scelta strutturale un continuo uso di acronie nonché l’inesausto ricorso a molto (a volte, troppo) found-footage sia di natura documentale sia di natura più riconducibile agli home movies di cui la famiglia dispone in quantità notevolissima. Ciò che troveremo al termine di questa operazione è la biografia di una famiglia pesantemente segnata dalle intrusioni della Storia.
Proviamo dall’intreccio a ricostruire la fabula, come avrebbero detto i formalisti russi: si parte dalla generazione della bisnonna (e del bisnonno), famiglia di contadini e allevatori che vivono a Deir Hanna, una cittadina della Galilea non distante dal lago di Tiberiade, da cui il titolo. Nati all’inizio del ‘900, nel 1948 si trovano a dover subire l’invasione israeliana, la perdita di tutto o quasi tutto ciò che avevano, la casa e gli animali.
Questo trauma colpisce, com’è ovvio, anche le figlie di costoro, ovvero la nonna e la prozia di Lina; la nonna, nata all’inizio degli anni ’30, è una ragazza particolarmente dotata, destinata a diventare maestra, ma l’invasione israeliana la coglie quando ancora non ha finito la scuola, ciò che però non le impedirà comunque di fare l’insegnante nella zona militarmente occupata della Palestina; la sorella, invece, la prozia di Lina, scappa e per così dire si ricongiunge con il grande mondo arabo fuggendo in Siria, senza tuttavia mai riuscire ad abbandonare il campo profughi.
La madre Hiam è la quinta di otto sorelle, la più ribelle di tutte, appassionata di fotografia, poco incline a rispettare le regole vigenti in famiglia (niente sesso prematrimoniale, la donna può sposarsi solo quando sono maritate le sorelle più grandi), è appassionata di teatro (recita semiclandestinamente in un teatro off di Gerusalemme), sogna la fuga e poi compie la fuga, va a Parigi, dove nascerà la figlia, la nostra regista, concepita con il suo secondo marito, essendo finito il primo matrimonio con un inglese convertito all’Islam, per il quale con le unghie e con i denti aveva richiesto la benedizione al padre solo alla fine ottenendola. La nascita della figlia servirà anche da tramite per ricostruire il rapporto con i genitori, perché Hiam all’indomani della nascita di Lina decide di tornarsene regolarmente in Palestina trascorrendovi le vacanze estive (e infatti i relativi family movies documentano questo allegro ritrovarsi).
E poi c’è la figlia stessa, che sentiamo molto ma vediamo poco direttamente nel film; la vediamo tuttavia, come detto, nelle foto di famiglia e nei filmini in una famiglia in cui è all’ordine del giorno la produzione della memoria per via intermediale, quelli che Marianne Hirsch chiamò, in relazione guarda caso alla memoria e alla post-memoria ebraica, i Family Frames.
Il prodotto finale sono proprio – qua e là scolastici, qua e là patetici – Family frames arabi, quindi non solo una post-memoria ma se si può dir così una contro-memoria, quella a cui dà vita la collaborazione fra madre e figlia, un processo lungo e tortuoso, come si diceva, nel corso del quale muore anche la nonna, ciò che finisce per conferire al film anche una certa aura luttuosa.
Bye bye Tibériade – Regia: Lina Soualem; sceneggiatura: Lina Soualem, Nadine Naous, in collaborazione con Gladys Joujou; fotografia: Frida Marzouk, Thomas Brémond, Lina Soualem; montaggio: Gladys Joujou; interpreti: Hiam Abbass; produzione: Beall Production, Altitude100 Production, Philistine Films; origine: Francia/Palestina/Belgio/Qatar, 2023; durata: 82 minuti.