Bastarden di Nikolaj Arcel e Adagio di Stefano Sollima (Concorso)


Come mai mettere insieme due film apparentemente così diversi passati nel Concorso della Mostra di Venezia come il danese Bastarden (in italiano uscirà con il titolo di The Promised Land) e Adagio di Stefano Sollima? Rispondiamo, subito, con il dire che entrambi sembrano, più o meno dei western, molto ma molto atipici e di cui parleremo in maniera più approfondita quando usciranno sala.
Cominciamo dal film di Nikolaj Arcel che trai due è di sicuro il migliore o almeno più originale. Siamo nel 1755 e un capitano squattrinato ma che nutre qualche ambizione, tal Ludvig Kahlen, si mette in testa una mezza follia e cioè quello di coltivare le aspre e desolate brughiere dello Jutland dove non cresce nulla di nulla, per costruirvi lì una colonia in nome del Re. In cambio, se ci riuscirà, riceverà un titolo nobiliare che desidera sopra ogni cosa. Va da sé che il nostro eroe, ben interpretato da un cazzuto Mads Mikkelsen, si metterà contro il latifondista della zona,  Frederik de Schinkel (il “de” lo sottolinea sempre per dimostrare di essere ricco ma anche nobile), un giovin signore teorico del caos in terra, oltre che ubriacone e di una arroganza sconfinata. Da ciò anche l’idea e la pretesa che la terra intorno alla sfarzosa magione in cui vive, sia di diritto sua e non di Kahlen.
La situazione va ad aggravarsi, poi, grazie ad un doppio fattore: il capitano piaciucchia ad una cugina norvegese, bella ma squattrinata, del villain che vorrebbe sposare (e qui la gelosia), e soprattutto il fatto che una ex-cameriera, Ann Barbara e il marito servitore sono fuggiti da de Schinkel per rifugiarsi dal rivale (quindi odio e rivalità). Ovviamente il testardo Capitano, dopo aver tentato una timida mediazione con il prepotente Nobiluomo, non demorde dall’idea di restare padrone della terra avuta dal Re e che vorrebbe coltivare a patate (una intuizione a quanto pare geniale e ignota nella Danimarca dell’epoca). Ed allora, pata-trak, scoppia una guerra aperta trai due con molti colpi sotto la cintura. In aggiunta, a intricare le cose, anche una bambina zingara trovatella che vorrebbe diventare la figlia del capitano e di Ann che per un certo tempo la accolgono in casa. Eccetera, eccetera, eccetera.

Molto attraente visivamente, Bastarden sarebbe stato forse, a nostro avviso, ancora più riuscito se – ma questo lo si può dire per praticamente tutte le opere viste a Venezia – fosse stato un po’ più breve e, in questo caso, più fluido nella parte centrale, dove la storia tende a ristagnare e a complicarsi forse troppo con una serie di complicazioni e di episodi collaterali.

Inoltre, ci sembra che avrebbe potuto acquisire ancora maggiore originalità se, come nel romanzo che ne è alla base, fosse stato raccontato dal punto della cameriera Ann Barbara e non da quello del protagonista maschile. Tutte le donne di questo film, infatti, sono piuttosto moderne a scapito probabilmente della verità storica dell’epoca ma con l’ipotesi di voler trasmettere un forte senso di liberazione dall’opprimente potere maschilista – cosa che avrebbe fatto del film di Nikolaj Arcel un lavoro maggiormente complesso e meno western alla danese. Ma anche così, anche con qualche buonismo di troppo, resta un’opera godibile e suggestiva. VALUTAZIONE ***(*)

Bastarden – Regia: Nikolaj Arcel; sceneggiatura: Anders Thomas Jensen, Nikolaj Arcel dal romanzo Kaptajnen og Ann Barbara di Ida Jessen; fotografia: Rasmus Videbæk; montaggio: Olivier Bugge Coutté; musica: Dan Romer; scenografia: Jette Lehmann; interpreti: Mads Mikkelsen, Amanda Collin, Simon Bennebjerg, Kristine Kujath Thorp, Gustav Lindh; produzione: Zentropa Entertainments (Louise Vesth), Zentropa Berlin (Fabian Gasmia), Zentropa Sweden (Lizette Jonjic); origine: Danimarca, 2023; durata: 127 minuti; distribuzione: Movies Inspired.

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E passiamo al più debole film di Stefano Sollima, il terzo dei film italiani già passati in Concorso, con cui si chiude una trilogia criminale, ambientata a Roma, comprendente i precedenti A.C.A.B. (2012) e Suburra (2015), oltre alla serie di Romanzo criminale (2008-2010) con cui si era fatto notare. Si tratta di sicuro di un’opera, questa ultima, di un buon impegno spettacolare, senz’altro, poi, ben servita da un grande cast dove troviamo Pierfrancesco Favino (assolutamente irriconoscibile), Toni Servillo e Valerio Mastandrea, nelle parti di tre ex-membri della banda della Magliana ormai in pensione, però, non proprio degli stinchi di santo – secondo il celebre motto: “il lupo perde il pelo ma non il vizio”. Tuttavia, in questo Adagio ci sembra che il regista romano riesca ad aggiungere poco di nuovo rispetto a quanto ci aveva già fatto vedere in precedenza, anche se ha affinato l’esperienza nell’action movie e soprattutto accresciuto (e di molto) il budget a disposizione.

Gianmarco Franchini

Questa volta si racconta di un ragazzo sedicenne (Gianmarco Franchini) che accudisce il vecchio padre malavitoso detto Daytona (Servillo) apparentemente fuori di testa ma che, poi, nei momenti decisivi, non lo è proprio tanto come lascia credere. Manuel che amerebbe condurre una vita superiore alle sue possibilità, compie qualche peccatuccio di troppo per cui viene “bevuto” da un gruppo di tre carabinieri corrotti, capitanati da bieco Vasco (Adriano Giannini). Viene così costretto, sotto ricatto, a compiere una spiata illegale durante un party in cui sarebbe coinvolto un politico di alto livello ma il ragazzo non se la sente e fugge via. Inseguito dai cattivi, il “cucciolo” spaventato si rivolge a un vecchio compare del padre detto Pol Niuman (Mastrandea) che cerca inutilmente – lasciandoci le penne – di mediare con Vasco, padre molto premuroso ma spietato perché impossibilitato a tornare indietro dall’affare criminale in cui si è messo. A questo punto il ragazzo continua la sua fuga disperata e si rifugia da un terzo ex-membro della banda della Magliana, tal “Er Cammello” (Favino) che non avrebbe nessuna voglia di lasciarsi tirar dentro in questa storiaccia ma le esigenze di sceneggiatura lo porteranno a combattere anche lui le guardie e a cercare di salvare il ragazzo. Finale quasi da libro Cuore.

Come si accennava Stefano Sollima costruisce, con la grande professionalità che lo contraddistingue, un discreto film di genere, a tratti anche divertente, ma che forse avrebbe fatto una migliore figura non presentato in Concorso. Perché anche se ben fotografato e con diverse carte in regola, stenta comunque a reggere il passo con la concorrenza americana sul terreno del thriller d’azione dove, oltreoceano, montaggio, velocità d’esecuzione e mezzi a disposizione sono infinitamente superiori. Lo show down conclusivo alla Stazione Tiburtina di Roma e gli uccellacci in cielo che volano torvi sulla Capitale in fiamme va pure bene ma si pretenderebbe ancora un quid in più che manca. Ma sì, accontentiamoci. VALUTAZIONE ***

Adagio – Regia: Stefano Sollima; sceneggiatura: Stefano Sollima, Stefano Bises; fotografia: Paolo Carnera; montaggio: Matthew Newman (in collaborazione con Silvia De Rose); musiche: Subsonica; scenografia: Paki Meduri; interpreti: Pierfrancesco Favino, Toni Servillo, Adriano Giannini, Valerio Mastandrea, Gianmarco Franchini, Francesco Di Leva, Lorenzo Adorni, Silvia Salvatori; produzione: The Apartment Pictures (Lorenzo Mieli), AlterEgo (Ludovico Purgatori), Vision Distribution (Massimiliano Orfei); origine: Italia, 2023; durata: 127 minuti; distribuzione: Vision Distribution.

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