Appassiona e trascina questo nuovo lavoro della regista turca, formatasi soprattutto poi in Germania dove da tempo risiede stabilmente, Aslı Özge. Soprattutto per come sapientemente rilancia la forma-cinema per realizzare un film che allo stesso tempo “è” e “non è” un documentario.
La storia è molto semplice. Il condominio dove vive il padre della regista, appunto Faruk, deve essere demolito e il film segue gli sviluppi come tutte le fasi del processo fino all’effettivo abbattimento e fino all’inizio della conseguente ricostruzione dell’edificio in stile moderno. Lo spettatore, dunque, da un lato ha di fronte fatti reali e concreti documentati dalle immagini del film, dall’altro conosce sempre di più la personalità e le abitudini quotidiane, come quindi i umori e le incertezze di Faruk dinanzi a questa situazione epocale della sua vita.Non è per nulla facile per un novantenne affrontare il vedersi scomparire, lì davanti agli occhi, lo spazio intimo, fatto di consuetudini, ricordi e speranze, dove la sua lunga esistenza si è andata svolgendo. E poi quali sono per lui le reali prospettive? Se ogni tanto l’idea del futuro inevitabilmente sale a chiedere a tutti noi responsi, questo “stato in corso” verso una mobilità imminente la rende sempre più ricorrente nella mente di Faruk. Che ogni giorno si domanda: ma cosa mai me ne farò di una casa nuova, tutta moderna e piena di utensili ipertecnologici, a 90’anni?
Nonostante il film sia non poco parlato (ma mai verboso), tutto questo è sublimato in immagini che silenziose raccolte (si potrebbe dire) riprendendo Faruk nei suoi tanti momenti di normale meditazione sulle cose. In casa soprattutto, mentre guarda la TV per distrarsi forse, quando pranza o cena, quando prende il caffè e guarda fuori dalla finestra. Le scelte stilistiche della figlia-regista sono elegantemente rispettose e educate allo stesso tempo nel mostrare un padre nei suoi turbamenti, nelle sue prese di posizione, nel suo partecipare alla vita dopo averne alle spalle non poca. È un dolce ritratto di una figlia che prova da ridare a un padre ciò che ha nel corso del tempo ricevuto. È pura cura per quello che è per eccellenza il rapporto dei rapporti. Gli sta accanto con la macchina da presa, lo accompagna con discrezione. E così si prova a far emergere Faruk per quella persona che è. In ciò Aslı Özge compie davvero un’opera che convince molto.
Il film risulta un’esperienza non distaccata, ovvero eccessivamente oggettivata rispetto al soggetto e agli avvenimenti che lo circondano, ma nemmeno fortemente personale. Il risultato sta nel felice equilibrio di queste due dimensioni. Perciò oscilla continuamente tra l’essere un puro documentario e qualcosa invece di profondamente diverso. È come trovarsi di fronte a un esperimento in fondo, dove il cinema viene nuovamente a essere il vero protagonista. Lo spettatore, infatti, avverte da un lato l’accidentalità del caso, con tutto il suo portato di contingenza e d’imprevedibilità (anche quello di un possibile fallimento). Dall’altro, si convince sempre più, durante la visione, che la strada intrapresa è quella giusta, che le scelte e l’approccio sono quelli appropriati. E non manca, questo forse l’aspetto ancora più interessante dell’opera, l’elemento efficace del gioco che il filmico da sempre permette. Sì, perché Aslı Özge non si limita a tenere stabili tutti i diversi elementi che ha sul tavolo di lavoro, bensì con questi si diverte nel cambiare di continuo in termini d’intensità formale. Insomma, non è un equilibrio statico permanente che alberga il film. Tutt’altro. Questo si vede solo se si pensa all’opera nel suo complesso, al termine della visione, fuori dalla sala per intenderci. Ma lì, nel buio magico del cinema, nei diversi e particolari passaggi narrativi del film, divisi tra confidenza ed estraneità, la regista non opta per mere soluzioni di continuità, bensì alterna il registro delle soluzioni a sua disposizione di volta in volta, riuscendo pienamente nei suoi intenti. Per fare ciò, chiede ausilio anche al genere fantastico! Chissà, forse appunto solo tra un padre e una figlia poteva succedere (eppure, mentre si scrive questo periodo, in fondo si sa non basta neppure questo). Resta intanto una grande interpretazione di Faruk Özge, che forse non sa nemmeno di essere attore, che non pensa ad altro se non ad affrontare il suo problema abitativo. Che poi scopriamo essere una questione oggi ampiamente diffusa e discussa a Istambul che sta conoscendo nuove possibilità di reinventarsi in quanto città e comunità. Nel finale c’è una sorpresa, sia narrativa che estetica. Ma ovviamente di ciò non si farà menzione…
Faruk – Regia e sceneggiatura: Aslı Özge; fotografia: Emre Erkmen; montaggio: Andreas Samland, Aslı Özge; musica: Karim Sebastian Elias; scenografia: Aslı Özge; interpreti: Faruk Özge (se stesso); Derya Erkenci; Gönül Gezer; Nurdan Çakmak; Semih Arslanoğlu; Fikret Özge, Aslı Özge (se stessa); produzione: Aslı Özge per FC Istanbul, Parallel 45, The Post Republic; origine: Germania/Turchia/ Francia, 2024; durata: 97 minuti.