A prescindere da cosa si pensi sul conflitto nella striscia di Gaza (io personalmente la mia idea me la sono fatta a riguardo), questo instant-Mockumentary è veramente sorprendente, riuscendo a trasmettere delle impressioni sugli eventi in una maniera abbastanza unica.
“L’orribile attacco del 7 ottobre e la guerra che ne è seguita – ha dichiarato il regista israeliano Dani Rosenberg che l’anno scorso aveva portato al Concorso del Festival di Locarno The Vanishing Soldier, un film sempre attinente alla guerra nel suo paese e alle sue conseguenze – hanno scatenato sofferenze inimmaginabili, che sfidano la comprensione. L’umanità, o la negazione dell’umanità, che ne emerge è profondamente inquietante. È possibile rappresentare, raccontare, narrare questi eventi? Questa era la domanda che ci ponevamo quando abbiamo iniziato le riprese alla fine di ottobre, consapevoli che il cinema si era schiantato contro il muro della realtà”.
E così, cinepresa in spalla e una troupe ridottissima, si è partiti alla volta del Kibbutz Nir Oz, accanto al confine con Gaza, dove a seguito dell’attacco del 7 ottobre la comunità locale era stata devastata dall’uccisione e/o dal rapimento di più di un quarto dei suoi membri. Un dato tragico che viene ovviamente ripreso e narrato in Al klavim veanashim che, però, attenzione!, sposta il suo centro di gravità non tanto e non solo sulla denunzia delle conseguenze terribile degli eventi ma come da titolo, Di cani e uomini, va ad affrontare un aspetto che potrebbe apparire di primo acchito secondario e invece non lo è affatto. Perché in fondo in esso è contenuta la morale implicita di questo piccolo gioiellino filmico.
Seguiamo all’alba una sedicenne, Dar (Ori Avinoam, l’unica attrice professionista di tutto il film) che vuole tornare nel Kibbuz d’appartenenza alla ricerca di Shula, il suo amato cane, smarrito durante l’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023. La ragazzina – lo apprenderemo dopo – che si era salvata rifugiandosi nella camera di sicurezza su invito della madre (invece scomparsa nell’attacco), con abilità riesce a dribblare l’esercito israeliano che vuole impedire agli sbandati di rientrare nelle loro case; arriva a Nir Oz grazie anche al passaggio di un taxista tipico sostenitore estremista pro Netanyahu (ma chissà perché i tassisti in tutto il mondo sono di destra?) che evoca la bomba atomica come soluzione al conflitto in corso; nel Kibbuz abbandonato trova un anziano vicino, forse l’unico abitante che non lo ha lasciato, il quale, oltre a ricordare la sua paurosa esperienza di quella notte, parla di un vicino palestinese, un amico che, pacifista come lui, non vuole o evoca la guerra trai due popoli. Tra distruzione e desolazione, passaggio di soldati israeliani, ecc., arriviamo nell’asilo del luogo dove tanti bambini mancano all’appello; ma, in tutti i casi, i maggiori orrori sono riprodotti, testimoniati e filmati dai telefonini che la protagonista – cosa naturale e scontata per la sua generazione – ci mostra in modo a tratti compulsivo dai social, Telegram, TickTok, ecc.
E sin qui dunque delle testimonianze in diretta, molta macchina a mano, “cinema diretto” certo impressionante ma tradizionale, accompagnato di tanto in tanto da una voce fuori campo, già a partire dall’incipit, quella della madre di Dar che rievoca la sua storia e le sue esperienze passate tramite dei brani di diari (recitati da Swell Ariel Or) risalenti al 1987, 1993, ecc.
Ma la vera svolta di Al klavim veanashim avviene quando, su suggerimento di un soldato, la protagonista e noi spettatori incontriamo e veniamo a conoscenza di un personaggio straordinario, quasi surreale che aiuterà Dar nella sua (vana?) ricerca. Si tratta di Nora Lifshitz (se stessa), la potremmo definire rozzamente una “canara” piena di piercing e tatuaggi, la quale a bordo di una jeep perlustra il territorio alla ricerca degli animali dispersi e abbandonati nella zona, cani in primis, ma anche gatti e altri animali domestici – anche loro si sono perduti come gli uomini, come l’anima di una nazione rabbiosamente in guerra. Già dal suo aspetto e dal piglio fiero, di combattente pacifica e pacifista, Nora svolge dunque un compito che nessun’altro svolge … Perché gli animali sono meno feroci e cattivi degli uomini, di entrambi i fronti di questo insensato conflitto bellico, e in definitiva i più indifesi.
Inutile aggiungere, infine, che questo piccolo film, coprodotto dall’Italia e very moving direbbero gli americani, surclassa a nostro parere Why War, la troppo intellettualistica e teorizzante ultima opera di un altro cineasta israeliano, presente alla Mostra, il grande veterano Amos Gitai. E non è cosa da poco.
Al klavim veanashim (Di cani e uomini) – Regia: Dani Rosenberg; sceneggiatura: Dani Rosenberg, Ori Avinoam, Itai Tamir; fotografia: Ziv Berkovic; montaggio: Nili Feller; musica: Yuval Semo; interpreti: Ori Avinoam, Natan Bahat, Nora Lifshitz, Yamit Avital; produzione: Laila Films (Itai Tamir, Alexander Rodnyansky), Stemal Entertainment (Donatella Palermo) con Rai Cinema; origine: Isreale/Italia, 2024; durata: 82 minuti.