Festival di Venezia (28 agosto – 7 settembre 2024): Boomerang di Shahab Fotouhi (Giornate degli Autori- Concorso)

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Il traffico a Teheran pulsa incessante, decine di utilitarie punteggiano un viale affollato. La macchina da presa ne sceglie una, inoltrandosi in un abitacolo, dove una vecchia coppia si ritrova. Behzad, già impegnato con Sima, scorge Sadaf all’esterno del suo luogo di lavoro. Non può essere un caso. La camera fissa il volto reticente di lei, che forse non sente il bisogno di una riconciliazione, ma solo di speculare sulle motivazioni dell’altro. Lontani sono i tempi di Taxi Teheran di Jafar Panahi del punto di vista fisso, politico, grazie a cui far esplodere il sistema. Ora una moltitudine di affari privati, dilemmi personali e sciocchi stratagemmi affastellano lo schermo.

Le pareti a Teheran sono sottili, decine di finestre adornano un condominio popolare. Sima, esasperata dal rumore dei vicini, va a lamentarsi, lasciando la sua interlocutrice interdetta. Rientrata anticipatamente dal lavoro, pattuglia il suo appartamento, sospettosa dei traffici del marito. Lascia aperta la porta del balcone. Anche questo, forse, non è un caso. Se le strade sono disoccupate da sogni di rivoluzioni, non ci rimangono che le finestre dei propri appartamenti, unici specchi attraverso cui riflettere una società che brama la trasparenza assoluta per meglio controllare i propri cittadini. Neanche la scuola è zona franca: qui vengono registrate le confidenze degli studenti agli insegnanti e successivamente fatte riascoltare in forma anonima ai genitori distorcendone la voce e i pensieri.

In questo assillante traffico di sconosciuti, dai misteriosi quanto minacciosi intenti, è ancora possibile riconoscere nell’altro un soggetto a cui affidare il proprio amore e la propria cura? Il viavai di macchine si impone fin dalla prima scena subissando col suo rumore le orecchie della giovane Minoo. Ma ecco il controcampo salvifico, il volto del primo amore, le piccole confidenze di vita e morte, sogni e paure, le corse e rincorse adolescenziali, le brevi poesiole recitate, seguite dai busti di celebri poeti. Tra le teste di queste statue avrebbe potuto trovarci benissimo posto anche Kieślowski. Il mosaico di vite orchestrato da Shahab Fotouhi potrebbe ricordare il maestro polacco, sebbene il regista iraniano preferisca rendersi invisibile piuttosto che ergersi a demiurgo dei destini dei propri personaggi. Ma, paradossalmente, è proprio questa eclissi del potere centrale che sembra riflettere la svolta neoliberale della società iraniana, come un potere che dissolvendosi continua a persistere, in un modo non troppo così differente, ma decisamente meno impegnato, rispetto al Kafka a Teheran di Ali Asgari e Alireza Khatami (anch’esso d’altronde infestato dallo spettro di poeti defunti).

Coadiuvato al montaggio dal regista georgiano, il formalista Alexandre Koberidze (autore di What Do We See, When We Look at the Sky?), in realtà il marchio registico si rende maggiormente presente nel montaggio interno, nel modo con cui lo zoom seziona una fetta del reale iraniano per penetrarlo più a fondo o nei lenti movimenti di macchina che spostandosi lateralmente cercano altre storie da raccontare o, infine, nella camera fissa che attende fiduciosa che gli atti dei suoi personaggi aggiungano una nuova prospettiva alla vicenda.

Nel tratteggiare i contorni di questa svolta neoliberale, Fotouhi rimbalza continuamente dal pubblico al privato ma evita sistematicamente di sferrare il colpo decisivo al sistema. Preferisce svolgere piuttosto il ruolo di vigile del traffico dei sentimenti lanciando sassi per sondare la profondità dei rapporti sociali. Tuttavia, permane il dubbio che questa funzione potrebbe rappresentare un’ulteriore manifestazione del sistema che dovrebbe criticare. Così quando durante un’intima confidenza, si accenna a un flirt omosessuale al buio, la camera lentamente si sposta verso un’altra storia, come se si voglia evitare il peso di quel segreto o come se la società non fosse ancora pronta ad affrontare tale realtà, parimenti impreparata ad accogliere la forma di vita neoliberale.


Boomerang – Regia e sceneggiatura: Shahab Fotouhi; fotografia: Faraz Fesharaki; montaggio: Alexandre Koberidze, Pouya Parsamagham; musica: Panagiotis Mina; interpreti: Arash Naimian, Yas Farkhondeh, Leili Rashidi, Ali Hanafian, Shaghayegh Jodat; produzione: Luise Hauschild e Mariam Shatberashvili per New Matter Films, Majid Barzegar per Rainy Pictures, Zohal Films; origine: Germania/ Iran, 2024; durata: 83 minuti.

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