Inizio anni Sessanta, 1961 più precisamente, nel pieno del boom economico. A Milano si sale sull’alto del Pirellone, all’epoca l’edificio più alto d’Europa, con un sorta di ascensore esterno che seguiamo in bianco&nero in una cronaca televisiva dell’epoca di Giulio Macchi. Al Sud, invece, Cristo continua a fermarsi ad Eboli, mostrando una Italia contadina di una povertà e arretratezza terribile. La storica spaccatura tra il Mezzogiorno arretrato e l’industrializzazione e modernizzazione del Nord è il punto di partenza del nuovo, molto atteso film di Michelangelo Frammartino, Il Buco, secondo dopo Paolo Sorrentino (https://close-up.info/3005-2/) dei ben cinque film italiani che passeranno in Concorso a Venezia – ma forse, a nostro modesto avviso, quella del Concorso non era la collocazione più giusta per l’opera terza del regista milanese.
Leggendo alcune dichiarazione dell’autore, cinema, psicanalisi e speleologia hanno qualcosa in comune dato che comunque sono nate nello stesso anno, il 1895. Ora se è una banalità ricordare la coincidenza di date tra la prima proiezione pubblica a Parigi e/o Berlino di immagini in movimento e Gli studi sull’isteria di Sigmund Freud, meno era noto l’accostamento con l’esplorazione dei vuoti sotterranei. E comunque è giusto considerare decisivo il fatidico 1895, essendo l’anno della fondazione della “Société de Spéléologie” da parte di Édouard-Alfred Martel, considerato il padre della speleologia moderna.
Detto ciò, Il Buco ricostruisce – in uno stile del tutto antinarrativo – l’impresa, vera, di un gruppo di giovani speleologi piemontesi che proprio nel 1961 avevano esplorato quella che è stata considerata la terza grotta più profonda d’Europa nell’incontaminato entroterra calabrese, raggiungendo, per la prima volta e con attrezzature molto rudimentali, il fondo dell’abisso del Bifurto nell’altopiano del Pollino, a 683 metri di profondità – come ci indica la scritta in una mappa della grotta che si vede nel finale.
L’impresa, a differenza di quanto potrebbe accadere oggi, si svolge in quasi solitudine e comunque nella noncuranza totale degli abitanti di un paesino vicino alla grotta, dove si vede la televisione in piazza davanti al bar come fosse una proiezione pubblica cinematografica all’aperto, con tanto di segnale che va e viene per problemi di ricezione. Ancora più indifferente è poi un vecchio e solitario contadino che nel pascolare i suoi buoi lancia, a volte, uno sguardo totalmente disinteressato a quanto accade davanti all’apertura in cui comincia la profondissima grotta che penetra molto profondamente nelle viscere della terra.
La contrapposizione polare tra il grattacielo milanese visto nell’incipit e l’impresa in Calabria segna il compasso in cui si muove il film di Frammartino che, appunto, segue da una parte l’esplorazione della grotta da parte del gruppo speleologico con tutte le sue difficoltà e logistica, e dall’altra l’estinguersi e la morte – retaggio pasoliniano – della civiltà contadina e rurale, simbolizzata da un vecchio contadino indifferente. Lo vediamo, ad un certo punto del film, trovato esamine su un campo; viene portato nella sua capanna dove lentamente, progressivamente, va incontro alla morte.
Con la complicità del grande direttore della fotografia Renato Berta e le sue eccellenti immagini, il regista milanese ci trasmette, per gran parte del suo film una straordinaria bellezza naturale, quasi incontaminata che si affaccia al vuoto del misticismo. E tutto ciò con uno stile insistito, insieme meditativo e poetico, del tutto differente da quello usato in un altro film (per noi molto più riuscito e variato) e cioè Cave of Forgotten Dreams, un documentario del 2010 in 3 D in cui Werner Herzog si era immerso nella Grotta Chauvet dell’Ardèche, in Francia, nota per conservare i più antichi dipinti dell’umanità, risalenti a 32.000 anni fa.
Il progetto del film di Frammartino risale al 2007 quando «il sindaco del paese calabrese dove stavo girando Le quattro volte, mi ha portato a fare un giro del Pollino. “Devi vedere le meraviglie di queste montagne!”, ha detto. Mi ha condotto in una dolina dove si poteva vedere un magro taglio nel terreno. Ero perplesso, deluso. Il sindaco, invece, entusiasta e fiero, ha gettato in quel vuoto un grosso sasso. È stato inghiottito dall’oscurità. Il fondo era così profondo che non si vedeva né si sentiva nulla. Quella scomparsa, quella mancanza di risposta, mi ha dato un’emozione fortissima. Quello strano posto mi è rimasto impresso, richiamandomi a sé anni dopo, per interrogarlo e creare un progetto nel buio silenzioso dell’Abisso del Bifurto».
Tra tanti dettagli pittoreschi come una pagina bruciata del settimanale “Epoca” con le foto dei due competitori Nixon e Kennedy nel 1961 e la progressione dei due “eventi” contrapposti sopra e sotto la terra, Il buco avanza un poco a fatica sino alla sua conclusione, quando gli speleologi arrivano sul fondo dell’abisso e il vecchio contadino viene seppellito.
Resta, in definitiva, un certa delusione per il risultato finale che ci è sembrato comunque al di sotto del precedente, più interessante e sorprendente, Le quattro volte (2010), girato anch’esso in Calabria e con intenti abbastanza simili ma un impianto concettuale molto più complesso.
Lo stile “in sé” sembra essere – molto probabilmente in modo voluto – il solo e vero motore del film ma questo, a parte il grande piacere della pura visione estatica del paesaggio, non ci esime da porci una domanda essenziale: perché Frammartino ha girato un’opera del genere che lascia l’acquolina in bocca anche ad un palato cinefilo come il nostro. E non ci ha offerto sul piatto del cinema anche qualcosa di più. O almeno questa è stata la nostra soggettiva impressione che abbiamo avuto alla fine della proiezione.
Premio Speciale della Giuria al Festival di Venezia
In sala dal 23 settembre
Il buco – Regia: Michelangelo Frammartino; sceneggiatura: Michelangelo Frammartino, Giovanna Giuliani; fotografia: Renato Berta ; montaggio: Benedetto Atria; interpreti: Paolo Cossi, Jacopo Elia, Denise Trombin, Nicola Lanza, Antonio Lanza, Leonardo Larocca, Claudia Candusso, Mila Costi, Carlos Jose Crespo; produzione: Doppio Nodo Double Bind (Marco Serrecchia), Essential Filmproduktion, Société Parisienne de Production; origine: Italia/Francia/Germania, 2021; durata: 93’; distribuzione: 01 Distribution.