Il giardino dei ciliegi di Anton Čechov (per la regia di Rosario Lisma)

Quando si è spettatori di un’opera di Anton Pavlovič Čechov si ha sempre la sensazione che gli attori si trovino a loro agio nel declamare le sue parole. Questione di comfort zone, probabilmente. O forse aiuta il fatto che si ha spesso l’idea che l’attore cechoviano non parli tanto all’altro quanto a se stesso. Insomma, che le battute le si tirino giù dall’astratto e poi lassù vengano rilanciate, e nel farlo si soffra sì, ma anche un poco si è felici. Decadentismo compiaciuto. Rosario Lisma agisce proprio lì, in ambito strettamente teatrale, adattando il testo a sei personaggi e costruendo una cornice fisica in cui si svolge la vicenda. Ne esce uno spettacolo godibile, ottimi interpreti, un gioco di scenografia ben combinata con le luci, alcune soluzioni narrative efficaci. In un mondo di castelli campati per aria il reale bussa alla porta, a quella del giardino dei ciliegi, e a quel punto bisognerebbe essere pronti, ma ecco che

Dovremmo essere dei giganti, no? Ma che giganti? Per carità…

I due fratelli tornano a casa. Nella più bella proprietà della regione e con un giardino, quello dei ciliegi, su cui si affaccia la loro stanza dei bambini. La reale culla dei ricordi della loro infanzia. I due, sorella e fratello, sono però spiantati. O meglio, «morti di champagne». Ljuba viene da Parigi e porta via dalla capitale francese i debiti e una figlia, Anja, ragazza in fiore. Alla magione ritrova il fratello snob Gaev, la figlia adottiva Varja – custode della casa –, uno studente mai laureato (nonché ex-maestro del figlio morto) e l’arricchito Lopachin. Quest’ultimo puzza di aringa. Nato povero e ora in scalata sociale, innamorato di Varja, insiste perché si affitti il terreno per la costruzione di nuovi edifici, così che la famiglia possa vivere di rendita. Il rischio, dopotutto, è quello che ogni cosa venga deprezzata all’asta, ormai imminente.

Tagliare il giardino dei ciliegi? Ma lei allora non capisce nulla…

Risponde lei mentre si godono il sole, indifferenti al mondo che gli crolla attorno, intrappolati nelle loro carceri di memoria. Ma ormai è tempo che non ci sia più tempo: un’ultima festa all’orizzonte, una possibile proposta di matrimonio, ma soprattutto il martello di un giudice pronto a battere all’asta. Al maggior offerente.

Cechov non è capace di fare commedia. E nemmeno di fare tragedie. Questo perché nella scrittura dell’una rimane traccia dell’altra e non può essere diversamente perché siamo nella Russia di primo Novecento e ovunque aleggia un decadentismo amato che è tanto comico come tragico. Soprattutto nell’ultimo Čechov, Il giardino dei ciliegi. Siamo nel momento in cui l’aristocrazia deve confrontarsi con il ceto emergente borghese e se i primi hanno sempre vissuto tra le nuvole e vorrebbero rimanerci, i secondi le nuvole vogliono comprarle per costruirci sopra castelli, e quindi l’astrattismo finisce per essere tirato giù a forza e rotolare così nella polvere. Trascinando con sé i personaggi che nella reggia ci vivevano, né degnamente né sufficientemente, semplicemente vi stavano.

Rosario Lisma  adatta così l’opera e ne mantiene la sua essenza teatrale. Crea una cornice nel quale stipare l’azione, svuota il palcoscenico creando efficaci ambientazioni vuote riempite soltanto con giocattoli e giocattolini, cubi e un orsacchiotto di dimensioni bibliche. Abbiamo così l’infanzia. Poi abbiamo tre sdraio e i rami vuoti di un ciliegio, e abbiamo il presente amaro e comunque anestetizzato. E infine abbiamo un lampadario e una carta da parati rossa. Musica da festa. Mentre il lampadario va sempre più giù, e non è il solo a farlo. E la musica da festa continua, ma non è il solo rumore proveniente da fuori: la voce del servitore – spirito della casa – diventa infatti esterna, calata dall’alto, mentre solo sei personaggi si muovono sul palco, a ritmo del testo, a ritmo di canzoni fuori dal tempo. Tipo Battiato.

Il giardino dei ciliegi per la regia di Rosario Lisma è uno spettacolo godibile ed efficace. Con vestiti contemporanei e una scenografia minima fa rimanere Čechov nei canoni teatrali, e con un lavoro sulle scene – solo qualche scivolone retorico che poteva essere evitato – viene ridata vita agli astratti pianti dei personaggi. Solo un personaggio non scivola nell’astrattismo, puzza anzi di aringa e borghesia, e non ha problemi a dire

Io so perché esisto, ma molti in Russia non lo sanno.

E i morti di champagne, dal sunbathing, rispondono languidamente:

Ma è sempre così volgare?

In scena fino al 2 aprile a Sala Umberto, Roma.


Il giardino dei ciliegiadattamento e regia: Rosario Lisma; luci: Luigi Biondi; scenografie: Federico Biancalani; costumi: Valeria Donata Bettella; assistente alla regia: Valentina Malcotti; interpreti: Milvia Marigliano, Giovanni Franzoni, Rosario Lisma, Eleonora Giovanardi, Dalila Reas, Tano Mongelli; produzione: Tieffe Teatro Milano/Teatro Nazionale Genova/Viola Produzioni.

 

 

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