La signorina Giulia di August Strindberg

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4.5

La signorina Giulia de La signorina Giulia di August Strindberg è effettivamente egocentrica. La signorina Giulia è però anche odiosa, sfacciata, dittatoriale, viziata, instabile, volitiva, capricciosa, imprudente, facile all’offesa, giocosa, inquieta, impudente, vanagloriosa, allegra, infantile, depressa, provocatoria, eccessiva, stravagante. Ah, la signorina Giulia è anche

Pazza, completamente pazza.

Perché balla con il guardiacaccia e flirta con il domestico già occupato. Perché prende a frustrare il fidanzato ufficiale che ora non è più fidanzato ufficiale, quindi si può dire che è pazza, completamente pazza perché ha preso a frustrate l’ex fidanzato ufficiale prima che questo prendesse in mano il frustino per cavallo, lo spezzasse e se ne andasse diventando appunto ex. Infine, la signorina Giulia è pazza perché

Ho sognato talvolta di trovarmi

appollaiata sulla cima d’una colonna senza sapere come fare per

scendere. Stavo più in alto delle nuvole.

Tuttavia dovevo scenderne, ma mi mancava il coraggio di

buttarmi giù.

La signorina Giulia di August Strindberg è uno spettacolo claustrofobico, pungente, sarcastico, asettico, violento, pregno, stridente, feroce, compresso, ansioso, comprensivo, fragile e strisciante. Ah, La signorina Giulia è anche

Una tragedia naturalistica

Come disse il suo drammaturgo. Perché parla di una donna aristocratica ma sottomessa al volere generale dell’uomo, sia amante o padre. Perché parla di un uomo che è anzitutto servo, anzi, domestico – come piace a lui specificare -, a ogni modo assoggettato al destino della propria classe. Perché parla di un Conte, mai in scena, che nella sua presenza assenza domina tutto e tutti, e il cui arrivo ognuno teme. Perché parla di limiti, quelli effettivi (classisti) e quelli psicologici, e di come l’uno sia intrecciato con l’altro, fittamente e finemente, senza lasciare via di scampo tanto al corpo come alla mente. E si parla di un altro limite, quello fisico, che lì, tra loro e attorno a loro, è tanto tangibile da aver forgiato il ‘palcoscenico’ stesso.

Atto unico. Notte di San Giovanni, quella in cui nobiltà e miseria possono mescolarsi prima di tornare ai loro posti. Due cunicoli, uno verticale e l’altro orizzontale, a formare una T orizzontale e nella T riversare i tre attori: Giulia, o meglio, la signorina Giulia,; Jean, il domestico; Kristin, domestica nonché fidanzata di Jean. Il tutto inizia con Giulia che rompe prima le parole e poi gli equilibri dei due fidanzati. La signorina ci prova senza scrupoli e senza freni con Jean, giocando al gatto e al topo davanti agli occhi della fidanzata e i due non si oppongono al suo comportamento. Sono servi, sono domestici, e lei è figlia del Conte, anche se è San Giovanni. Jean finisce per acconsentire alle avance della padrona e i due finiscono a letto. Il mattino successivo si svegliano, innamorati come non mai. Progettano di scappare, una fuga d’amore, aprire un albergo in Svizzera, Jean sarà il direttore, Giulia la direttrice. Eppure, al primo ostacolo il sogno si sfalda: con quali soldi? L’amore salta, Jean si rivela veramente per chi è e Giulia può ben ripeterlo

Anche quando sogno ho paura di volare.

Ma non può ripeterlo troppe volte perché il Conte sta ritornando e tutti loro hanno fatto qualcosa che non doveva essere fatto. Giulia ha dormito con un servo, il servo ha spinto Giulia indirettamente a rubare i soldi del padre, e Kristin non ha fatto nulla per evitarlo. Ma non c’è tempo. Il campanello suona una, due, tre volte. Il Conte è qui.

Leonardo Lidi punta su una scenografia azzeccatissima che calza alla tragedia come un vestito aderente. Cunicolo verticale a proporre il divario sociale tra chi sta sotto, servitù, e chi sta sopra, nobiltà, con le temporanee inversioni di ruolo; cunicolo orizzontale nel quale servitù e nobiltà sono sullo stesso piano ma lo condividono curvi e scomodi come sono le azioni che stanno facendo: fuori luogo e fuori tempo. Quasi profane. Perché l’amore tra Giulia e Jean non avrebbe dovuto accadere. Anzi, in effetti non mai è realmente accaduto.

Nella tensione perfetta del triangolo amoroso, il loro amore ha però il sapore della contraffazione e dell’inganno. Su questo palcoscenico di un asettico imperante, Giulia e Jean si muovono sempre nei quadri classisti e lo fanno in un rapporto di distanze nel quale o si è troppo lontani o troppo vicini. O si prevarica o si è prevaricati. Anzi, prevaricare per essere prevaricati: perché Giulia e Jean sanno ‘amare’ solo facendosi male e sanno accogliere quel sofisticato amore solo subendo male. E tali sono le loro parole dei due attori (ottimi), Giuliana Vigogna e Christian La Rosa, quasi monologhi detti a se medesimi piuttosto che dialoghi, a ingannare l’altro e se stessi attraverso quell’amore che è solo tremenda pazzia scatenata sempre nei soli limiti che prima si sono loro imposti e poi loro hanno imposto a se stessi per sopravvivere. Nella gabbia, dorata o di ferro che sia, si sta meglio.

Sono limiti. Limiti di classe per lui cresciuto a guardare cipolle mentre vedeva Giulia tra le rose, limiti di condizione di donna per lei cresciuta mezzo maschio e mezza donna per le idee progressive della madre strozzate dalla figura del padre Conte. Limiti che li portano a fare tanto rumore, tantissimo rumore che pare per nulla ma in effetti rumore necessario è: per poter dimenare e dimenarsi, senza così uscire dai preziosi confini. Confini che li portano a voler vendicarsi sull’altro perché altro non si può fare, fino a uccidere ciò che è più prezioso, non tanto il corpo quanto l’anima sotto forma di animale da compagnia. Quello che ha accompagnato una vita.

E alla fine nessun osa andare oltre, solo la signorina Giulia, ragazza irascibile capricciosa ostinata, insomma un carrarmato di vetro, allunga la mano e poi il piede fino al confine. Ma oltre il limite non si può andare. Lei non può, non è la sola, e non si parla solo di personaggi teatrali purtroppo.

Ho sognato talvolta di trovarmi

appollaiata sulla cima d’una colonna senza sapere come fare per

scendere. Tuttavia dovevo scenderne, ma mi mancava il coraggio di

buttarmi giù.

Sentivo tuttavia di non poter aver pace se

non quando fossi in basso; di non poter avere alcun riposo finché

non fossi a terra. Ma poi, una volta in basso, avrei voluto

sprofondare sotto terra! Avete mai provato qualcosa di simile?

Dal 11 al 16 ottobre al Teatro Vascello, Roma.


La signorina Giulia di August Strindbergadattamento e regia: Leonardo Lidi; interpreti: Giuliana Vigogna, Christian La Rosa, Ilaria Falini; scene e luci: Nicolas Bovey; costumi: Aurora Damanti; suono: G.U.P. Alcaro; produzione: Teatro Stabile dell’Umbria; in collaborazione con Spoleto Festival dei Due Mondi

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