Lupo vichingo di Stig Svendsen

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Novità horror di questi ultimi giorni su Netflix, Lupo vichingo, a dispetto del titolo improbabile che però per questa volta traduce letteralmente quello originale (Vikingulven), è un buon film norvegese, che fa paura e insieme commuove. Questo soprattutto grazie alla interpretazione credibile di tutti il cast, diretto evidentemente con bravura dal regista Stig Svendsen. Che ha il merito ulteriore di rendere una storia, abbastanza prevedibile nei suoi sviluppi, comunque affascinante, proprio grazie all’intensità dei suoi protagonisti e alla semplicità del racconto, reso, però, con un certo stile di regia. E che possiede almeno due scene madri molto forti e suggestive, che lasciamo scoprire ai nostri lettori e spettatori.

Troviamo qui tutti i topos del genere cui il film appartiene: l’inquietudine adolescenziale, i conflitti familiari, l’amore e la complicità fraterni, gli amici veri e quelli stupidi, il mostro, che è rappresentazione bestiale e primordiale della complessità e della profondità del malessere esistenziale, la caccia al mostro e la sua fine.

Siamo in Norvegia e le storie, come un bel prologo ci descrive, narrano di guerrieri vichinghi che mille anni fa trovarono, durante il saccheggio della Normandia, un piccolo lupo e lo portarono con loro nel ritorno a casa; ma il lupo li sbranò e li uccise tutti, conquistando le terre di Norvegia e introducendovi il male, una volta per sempre. Ecco che mille anni dopo, il paesaggio nordico, bellissimo e affascinante certo ma anche nebbioso e cupo, trasmette un senso di angoscia e di precarietà che corrisponde allo stesso mood della giovane protagonista Thale (Elli Rhiannon Müller Osborne), la cui frustrazione e la cui rabbia prenderà la forma di un potente lupo, determinato e vendicativo, invulnerabile. Almeno fino alla sua redenzione, della quale però il film non sembrerebbe dare certezza. Ma chissà?

Si tratta quindi di un horror sui lupi mannari che non stupirà per efferatezza o suspense, per eccentricità e forse originalità, ma che suggerisce, con una bella e riuscita fotografia, riflessioni esistenziali interessanti, ed emoziona attraverso legami profondi tra i suoi protagonisti, come se la nostra umanità, per liberarsi, avesse bisogno di traumi su cui poi costruire il proprio futuro.

In Lupo vichingo, la sorellina della protagonista, Jenny (Mia Fosshaug Laubacher), rappresenta la nostra parte migliore, la riserva di bene che tutti abbiamo e che deve resistere al male che portiamo dentro. Il regista Stig Svendsen ha creato le giuste atmosfere per un solido horror di serie b, classico, apparentemente piccolo, ma in definitiva buono e ben fatto. Probabilmente i suoi diretti o indiretti riferimenti non sono stati eguagliati né superati – pensiamo ad esempio a Un lupo mannaro americano a Londra (1981), Wolf-la belva è fuori (1994), The Wolfman (2010), e forse anche lo stralunato e comico Voglia di vincere (1985), senza stare a scomodare un capolavoro come Lo squalo (1975) di Steven Spielberg ovviamente non incentrato sulla caccia ai lupi mannari ma sempre fondamentale esempio per i film in cui si insegue e si caccia un mostro.

Detto ciò, bisogna anche aggiungere che il nostro regista norvegese ha una mano sicura, dirige una brava e giovane protagonista, una eroina coraggiosa come la madre poliziotto Liv (Liv Mjönes) che ruba la scena agli altri attori pur di vaglio, e infine, e  non ultimo pregio, esibisce delle scenografie naturali meravigliose, fatta di campi verdi, montagne e laghi incontaminati. Un film, insomma, su cui buttare un occhio.

Su Netflix


 Lupo vichingo Regia: Stig Svendsen; sceneggiatura: Espen Aukan, Stig Svendsen; fotografia: Trond Tonder; montaggio: Stig Svendsen; effetti speciali: Morten A. Kvale; musica: Bjørnar Johnsen, Kjetil Schander Luhr; interpreti: Elli Rhiannon Müller Osborne, Mia Fosshaug Laubacher, Liv Mjönes; produzione: Peter Ahlén; origine:  Norvegia 2022; durata: 97’; distribuzione: Netflix.

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