Se davanti alla mdp c’è l’arte, dietro alla mdp non c’è nessuna pietà, solo sopravvivenza. Cédric Khan gira un film spietato sulle dinamiche cinematografiche, laddove si tira a campare e budget non c’è, a meno che non si scenda a compromessi o avvenga un… miracolo. Le quinte vengono così scoperte e analizzate, con quell’ironia sottile e altezzosa alla francese, e lo stesso far cinema alla francese viene messo alla berlina: il cinema può fare film sul proletariato e classe piccolo borghese, a condizione di sfruttarli a sua volta.
Simon (Denis Podalydès) è arrivato alla frutta. Regista conclamato, ha deciso di fare un film sull’autogestione di una fabbrica da parte degli operai e tutto andrebbe per il meglio se i soldi ci fossero. I produttori del film hanno infatti dettato le loro condizioni: o si modifica il finale o non daranno i loro soldi. Simon s’intestardisce e il danno è fatto. Senza soldi, i guai si moltiplicano: l’attore protagonista è incapace e con manie di protagonismo, le settimane di ripresa vengono tagliate e sempre più alto è il rischio di fare alla propria troupe quello che è stato fatto agli operai protagonisti del film. E così la vera storia non è quella raccontata ma la produzione del film stesso: Joseph (Stefan Crepon) il ragazzo incaricato di fare il making of, registra ogni cosa. Tra disperazione e, forse, successo.
Dopo più di una decina di lungometraggi scritti e girati, Cédric Khan ci racconta come si fa un film e lo fa in modo spietato, togliendo la magia e raccontandoci il tutto attraverso lo sguardo di un regista ormai disilluso. Se lo stesso regista non ci crede, figuriamoci gli altri. E se il sogno manca, fare cinema diventa solo una somma di compromessi e di pezze messe al punto giusto. Una punta di ironia alla francese, sorda ma intelligente, punteggia la pellicola e spara sull’ambulanza di un’arte che come dice Paolo Sorrentino: “è fatta da dilettanti”.
A ciò, disillusione e ironia, si mescoli una punta di critica politica e sociale che in Francia non si dimentica mai: Simon fa un film sul proletariato e sulla forza potenziale dello stesso in nome della collettività, eppure lui è un ricco borghese che pur di concludere il film rischia di fare alla sua stessa troupe la fine toccata agli operai: farli lavorare a gratis o scaricarli nel bel mezzo del lavoro. Il cinema è allora un’arte per ricchi o per poveri? E quando parla di questi ultimi, lo fa per carità o per dedizione reale? Il rischio di passare per voltafaccia c’è e non è minimo.
Passato a La Biennale di Venezia del 2023 Fuori Concorso, Making of è un film godibile, con scene ben riuscite (quelle più lunghe) e momenti di ilarità apprezzabili. Con una buona costruzione dei personaggi e un’autopsia precisa di ciò che vuol dire fare cinema, ci mostra come viene creata la settima arte: alla bell e meglio, sperando di imbroccare le scelte giuste e di avere abbastanza soldi per attuarle. Nel caso mancassero, la soluzione è solo una: tagliare, tagliare e tagliare. E sostituire il tagliato con un bel tondo: “Lo dimo”.
In sala dal 26 settembre 2024.
Making of – regia: Cédric Kahn; sceneggiatura: Fanny Burdino, Samuel Doux, Cédric Kahn; fotografia: Patrick Ghiringhelli; montaggio: Yann Dedet; scenografia: Damien Rondeau; costumi: Alice Cambournac; suono: Martin Boissau, Raphaël Mouterde; effetti visivi: François Filippi; interpreti: Denis Podalydès, Jonathan Cohen, Stefan Crepon, Souheila Yacoub, Emmanuelle Bercot, Xavier Beauvois, Valérie Donzelli; produzione: Olivier Delbosc, Bastien Sirodot, Cédric Iland; origine: Francia, 2023; durata: 119’.