Il porno, da sempre, ha avuto un ruolo vitale nella storia di Internet. Presente sin dalle origini, il materiale pornografico rappresenta indubbiamente la spina dorsale, la linfa, la colonna portante nascosta dell’intero Web. La “Rule 34” una regola non scritta del Web, afferma: “If it exists, there is porn of it. No exceptions” (Se esiste, c’è del porno su di esso. Senza eccezioni). Per qualsiasi ambito o contenuto presente su internet, ci sarà sempre qualcuno che creerà materiale a sfondo sessuale su di esso. In pratica, la Rule 34 implica che non c’è nulla che non possa diventare oggetto di pornografia.
MoneyShot: La storia di PornHub di Suzanne Hillinger parla di porno, dell’industria, delle controversie, delle problematiche, e, per estensione dunque, ci parla anche di Internet, e del grande problema della regolamentazione e la liberalizzazione dei contenuti.
MindGeek è un nome che dirà ben poco alla maggior parte dei lettori, si tratta di una compagnia canadese che gestisce alcuni dei siti e case di produzione più famosi al mondo nel campo della pornografia, come PornHub, RedTube, Xtube e Brazzers. La società si occupa principalmente di raccogliere dati, proprio come fanno Netflix e Facebook, per personalizzare e migliorare l’esperienza degli utenti sui loro siti. Modello di Business ormai diffusissimo e comune nell’era digitale, la raccolta e l’analisi dei dati è diventato parte integrante del marketing e della pubblicità online. MindGeek ha a disposizione una quantità enorme di dati a cui attingere – di molto superiore anche a Netflix, per intenderci – grazie alla vasta risonanza dei contenuti offerti dai suoi siti. La punta di diamante di MindGeek, e la vera gallina dalle uova d’oro, indubbiamente, è rappresentata da PornHub.
PornHub è stata fondata da tre studenti universitari che poi hanno venduto l’azienda a Fabian Thylman. Thylman ha svolto un eccellente lavoro di ottimizzazione delle ricerche, che ha portato PornHub a risultare sempre primo tra i risultati di ricerca. Esce di scena dopo la sua condanna per evasione fiscale, il controllo passa dunque a Feras Antoon e David Tassillo, e all’investitore Bernd Bergmair.
Il traffico di PornHub viene utilizzato e reindirizzato su ModelHub, che permette ai sex worker di monetizzare i propri video. Prima, i performer erano sotto il controllo degli studi di produzione, che erano liberissimi di imporre loro condizioni sfavorevoli senza farsi troppi scrupoli. Ora esistono modelli di monetizzazione come OnlyFans e ModelHub che permettono agli artisti di produrre autonomamente contenuti a pagamento, caricarlo sulla piattaforma e poterne trarre profitto. PornHub però, possiede anche un aspetto profondamente inquietante: ospita, tra gli altri, anche contenuti non verificati e gratuiti che non sono monetizzabili, ma neppure controllabili.
Qui nasce il vero problema.
La vicenda di Serena Fleites è divenuta ormai un archetipo narrativo, vede protagonista una ragazza quattordicenne che manda dei video hot ad un ragazzo di cui si è invaghita, lui però, quei video, li posta online, e i filmati dopo poco finiscono su PornHub. Inutili i tentativi e le richieste di rimozione, anche se i video venivano rimossi, poco dopo venivano ricaricati e ricomparivano su altri siti, moltiplicandosi in un flagello impossibile da controllare. Come prevedibile, la vita di Serena viene distrutta, la ragazza tenta più volte il suicidio e non c’è assolutamente nulla che potrà mai fare per cancellare dall’etere quelle immagini.
Nick Kristof, un giornalista del The New York Times, fiuta lo scoop e nel 2020 scrive un articolo che ebbe enorme risonanza: “The Children of Pornhub: Why does Canada allow this company to profit off videos of exploitation and assault?”
I tre fondamentali suggerimenti che Nick propone nel suo articolo, condivisi anche dai content creator che operano nel settore, sono i seguenti:
- Permettere solamente ad utenti verificati di postare video
- impedire il download dei video
- incrementare la moderazione
Ma l’opinione pubblica è ormai scandalizzata, ci vuole qualcosa di più plateale ed irragionevole di questi sensati suggerimenti. Viene così presa la decisione da parte di Visa, Mastercard e Paypal di interrompere la collaborazione e la possibilità di pagare i servizi di Pornhub attraverso i loro canali.
Questi provvedimenti però, più che colpire Pornhub, danneggiano maggiormente i suddetti content creator, che già da anni avevano sollevato la questione della difficile regolamentazione dei contenuti. Inoltre, il provvedimento non sembra essere risultato effettivamente utile alle vittime.
Le cose sembrano andare di male in peggio. A cavalcare l’onda ci pensa Laula Mickelwait e il movimento TraffickingHub, che ha portato alla luce casi di video di ragazzini vittime di stupro, caricati su PornHub. Personaggio controverso, alla guida di una campagna giusta e legittima, i cui obiettivi finali però, potrebbero non rivelarsi propriamente auspicabili.
Già, perché far chiudere PornHub non è la soluzione. Come riassume bene un tweet mostrato nel documentario: If you think Pornhub is bad, you’re going to REALLY hate where people go if it’s shut down
Questo breve excursus era una piccola parte delle vicende narrate in Money Shot: La storia di Pornhub. Un documentario che interessa ed incuriosisce, le interviste ai protagonisti sono ben girate e curate, l’impostazione è piuttosto convenzionale e la postproduzione è in linea con gli standard documentaristici Netflix. L’imparzialità dell’opera viene in qualche modo preservata nell’esposizione e nel racconto. Tuttavia, non è difficile capire per chi parteggia l’autrice: ad un paio di intervistati viene riservato un trattamento di favore, concedendogli qualche battuta e toni più confidenziali. Altri non godono della stessa simpatia: tramite il racconto visivo, le immagini, il dettaglio sul gesto, la posizione della telecamera, si cela un certo sentimento critico nei loro confronti. Al pubblico rimane comunque un profondo dilemma morale da affrontare: la rimozione indiscriminata di contenuti e una censura ottusa e mal calibrata non possono rappresentare una soluzione, fintanto che vanno a ledere il lavoro di operatori che producono contenuti originali. Gli interessi economici di una compagnia come Pornhub, d’altra parte, sono troppo in contrasto con certi principi per impedire che aziende del genere non tendano naturalmente a cercare escamotage per continuare a fingere di ignorare la problematica dei contenuti illegali e non controllati.
In questo senso il documentario riesce a conservare un certo valore, l’impostazione rimane ben salda sull’analisi dei dati e non sfocia mai nello scandalistico o nel sensazionalismo.
La progressione e lo sviluppo procedono sempre di buon passo, la vicenda viene illustrata in maniera chiara facendo uso di citazioni da articoli e documenti, assieme ad inserti visivi e documentazioni video di processi e reportage. L’attenzione rimane viva anche grazie ad un sottofondo musicale elettronico piuttosto ripetitivo ma stranamente funzionale a ciò che viene raccontato e mostrato.
Però, più che consigliare la visione per qualità intrinseca del documentario, riteniamo importante sottolinearne la necessità, e la conseguente esigenza di un dibattito sulla questione che permetta di sbloccare una situazione al momento incerta e stagnante.
Su Netflix dal 15 marzo 2023
Money Shot: la storia di PornHub, Regia: Suzanne Hillinger; Fotografia: Iris Ng; Montaggio: Alexis Johnson; Musica: Kyle Scott Wilson; Produzione: Nicki Carrico, Suzanne Hillinger, JigSaw; Origine: USA, 2023; Durata: 84’ Distribuzione: Netflix.