Da Cannes 2021: Piccolo corpo

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L’Italia pre-novecentesca della giovane regista Laura Samani (la ricordiamo per il cortometraggio La Santa che dorme, anch’esso presentato a Cannes nel 2016) è un non-luogo incantato, un universo ombroso in cui fantastico e ordinario stringono legami illeciti, componendo sinfonie in chiaroscuro.

Piccolo corpo è un film spaventosamente crudo e onirico, una favola nera dai contorni perturbanti e commoventi. Agata (un’algida Celeste Cescutti, qui alla sua prima prova d’attrice) è una ragazza che vive in mezzo al mare, una creatura quasi intangibile: e infatti, la cinepresa ne cela il volto fino all’istante fatale, in cui la vediamo compiere un rito di iniziazione prima di partorire la sua unica figlia.

La bambina non vedrà mai la luce del sole, ma rimarrà anch’essa un’entità astratta, destinata a sprofondare nell’oblio di un limbo cristiano-pagano. Incapace di accettare la perdita del proprio mondo, Agata compie un lungo viaggio verso le montagne, alla ricerca di un santuario in cui battezzare la neonata. Seguendo il pellegrinaggio di questa moderna ninfa, la regista plasma un cunto de li cunti rievocando, come per magia, le raccapriccianti meraviglie di Giambattista Basile. Ma attenzione: il legame con la terra e i suoi elementi non viene mai meno, l’obiettivo resta ossessivamente legato all’acqua, al fuoco, all’aria di un Paese che forse non respira più.

Il dialetto permea gli spazi e accelera il ritmo narrativo, introducendoci all’interno di una lenta ma inesorabile corsa contro il tempo – non solo contro la morte, ma contro il futuro delle lampadine e dell’esistenza seriale che oggi tutti conosciamo fin troppo bene. Agata rifiuta l’assioma contemporaneo del “lasciare andare ciò che non ci può appartenere”, rivendicando con violenza il suo ruolo di strega in un cosmo ormai avviatosi alla volgarità più prosaica. L’universo che circonda la giovane donna, infatti, già esibisce alcuni pericolosi sintomi della propria decadenza: i personaggi nascondono un cinismo spietato, la frase “non si fa niente per niente” ricorre con brutale ridondanza e finisce per sostituire le formule di rito. Da brava cantastorie, la Samani inserisce nella parabola anche Lince (Ondina Quadri), metà uomo e metà fauno, sorta di spirito dei boschi pronto a indicarci la retta via fra banditi, miniere e laghi addormentati.

Il lungometraggio non ci dice più di quello che vorremmo sapere e ci tiene sulle spine per il piacere di raccontare: così, Agata e Lince – forse entrambe madri mancate – si scambieranno i ruoli, reclamando la libertà di tracciare in solitudine il loro cammino. L’autrice si muove circospetta attorno alle sue figure, trasferisce il nostro sguardo sui volti che incontriamo: l’impressione è quella di sfogliare un libro rimasto intonso da millenni. L’occhio viene irrimediabilmente costretto a inserirsi fra le dita dei protagonisti, fra le ferite ancora aperte, fra le pieghe dei tessuti, scivolando sulla nuca dei viandanti e sobbalzando sulle ruote dei carri. Al centro si erge la piccola scatola di legno che contiene il piccolo corpo di un bambino mai nato (o non ancora nato). Perché le cose esistano, bisogna nominarle: e così anche noi riusciamo a sbirciare dentro la cassa soltanto alla fine, rompendo l’incantesimo e ottenendo il permesso di rincasare fra le poltrone in sala.

Il nome, nella religiosità scaramantico-provenzale di cui Agata e Lince sono le ultime eredi, possiede un’importanza vitale. Il nome non si limita ad accompagnare l’immagine, ma è lui stesso immagine e rende concreto ciò che altrimenti non potrebbe essere visto, né udito. Il nome, secondo la regista, viene espresso solo attraverso un idioma filmico dialettale, vale a dire perfettamente compenetrato alla realtà da cui i fotogrammi provengono. In tal senso, il film porta a termine una meravigliosa opera d’interpretariato, trasportando lo spettatore nel tanto temuto limbo della bambina per sempre rinchiusa nel suo triste forziere. L’epilogo forse ci mostra più del dovuto, annullando parzialmente la maledizione e sfociando nel soprannaturale con troppa facilità. Forse sarebbe stato meglio evitare lo svelamento dell’enigma: nessuno, in fondo, desidera davvero conoscere i trucchi segreti di un prestigiatore.

Presentato alla “Semaine de la Critique” di Cannes 2021.

 


Cast & Credits

Piccolo corpo  – Regia: Laura Samani; sceneggiatura: Laura Samani, Marco Borromei, Elisa Dondi; fotografia: Mitja Ličen; montaggio: Chiara Dainese; interpreti: Celeste Cescutti (Agata), Ondina Quadri (Lince), Marco Geromin (il saggio Ignac), Giacomine Dereani (la brigantessa Lia), Anna Pia Bernardis (l’eremita del santuario), Luca Sera (il prete dell’isola), Denis Corbatto (Mattia, marito di Agata); produzione: Nefertiti Film con Rai Cinema; origine: Italia 2021; durata: 93’.

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