Verso gli Oscar: MY OCTUPUS TEACHER

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A chiudere le recensioni della sezione documentaristica dell’avventura Oscar 2021, è il curioso lungometraggio di Pippa Ehrlich e James Reed My Octopus Teacher (in italiano Il mio amico in fondo al mare , visibile su Netflix). A dire il vero, la pellicola è un film nel film e l’obiettivo si premura di introdurci nelle profondità più recondite dell’Oceano Atlantic: nei pressi di Cape Town, infatti, questa immensa distesa d’acqua sembra quasi prendere le forme di un’entità a sé stante, qui immortalata mentre grida senza sosta, infrangendosi fra gli speroni rocciosi della costa sudafricana. La voce narrante appartiene ad un altro regista: per riaffiorare da una crisi esistenziale apparentemente insormontabile, Craig Foster dovrà immergersi nel mondo sottocutaneo che s’apre sotto i cavalloni del mare in tempesta, attuando un percorso a ritroso verso le sue origini – e, perché no, verso le radici dell’intera specie umana. Tra gli anfratti di False Bay, nascosta sotto uno specchio acquatico per molti versi inaccessibile, s’apre una vera e propria selva: la cinepresa affonda in un cosmo tanto irreale e chimerico quanto simile alla terraferma che circonda la nostra quotidianità. La prima perlustrazione avviene all’insegna di un’inquietudine dai tratti primordiali e lo spettatore si ritrova costretto ad immedesimarsi in un ricordo comune, ancestrale e ormai da tempo rimosso. My Octopus Teacher gravita appunto attorno ad un bizzarro senso d’ibridazione, ad un sentimento di empatia mista a stupore misto a terrore, ad una gamma emotiva che potrebbe ancora far parte di un patrimonio genetico condiviso. In tal senso, il titolo italiano si perde in scenari più banalmente scontati: il viaggio di Craig si basa sull’idea di riavvolgere il nastro evolutivo attraverso le istruzioni di una natura non più vittima, bensì maestra dell’uomo.

È importante ricordare la causa del distacco insinuatosi fra il protagonista e la sua cinepresa: il contatto con una tribù locale di cercatori di tracce lo metterà, difatti, davanti ai limiti e alle inadeguatezze della realtà civilizzata da cui egli proviene. La sgradevole sensazione d’estraneità provata dal documentarista crescerà al punto da erompere in un crollo psicologico che lo allontanerà dall’amatissima macchina fotografica. Ma l’esclusione e l’isolamento sono infrastrutture individuali, e la giungla sottomarina di False Bay aiuterà questo pesce fuor d’acqua a costruire un habitat spirituale fatto su misura per lui. L’epifania si verifica durante una mattinata di sole come tante altre: sgusciando fra le ombre e le luci che popolano la foresta di Kelp, Craig incontra una piccola piovra. Quasi ripercorrendo la parabola del piccolo principe, egli stringe amicizia con l’introversa creatura, trasformandone la proverbiale circospezione in fiducia incondizionata. Lo sguardo della coppia Ehrlich-Reed si innesta completamente nell’occhio dell’ex regista, abbracciando le frasche minacciose con una sorta di spaventata venerazione e cavalcando la marea come se si trattasse di saltellare a mezz’aria. Così, Craig e la piovra si scoprono simili e l’illusione (sempre che di illusione si tratti) coinvolge anche il pubblico: l’animale esibisce una saggezza e una sagacia talmente pungenti da somigliare a quelle di un ragazzino precoce, i gesti e le movenze si avvicinano ad una quotidianità che ancora ci appartiene, gioia e sofferenza appaiono nettamente distinguibili su quello che potremmo definire un volto dalla fisionomia umana.

Non sappiamo se questa totale immedesimazione nell’invertebrato sia frutto della coinvolgente passione di Craig, ma ci lasciamo comunque trasportare dalla corrente selvaggia che regola il respiro di questi oscuri recessi. Il protagonista seguirà il nuovo amico per circa un anno, fotografando le fasi di cui si compone la sua breve partecipazione alla gigantesca partita a scacchi dell’esistenza: l’impressione è quella di scrutare una persona e la sua anima, il tutto nuotando nel difficile meccanismo a orologeria del globo terreste. La piovra gioca, va a caccia, si riposa, cerca conforto, prova angoscia e dolore esattamente come ogni soggetto senziente, ma ciò che colpisce l’intera sala è la sua innata capacità di trasmettere all’interlocutore qualsiasi pensiero le passi per la testa – ora ha fame, ora è stanca, ora avverte un pericolo, ora si diverte, e così via fino all’ultimo atto. E l’uomo? Beh, per una volta esso sembra scoprirsi parte integrante di un macrocosmo materno, protettivo e insieme imperturbabile – in poche parole, più sapiente e consapevole di quanto non potremmo mai aspettarci.


My Octopus Teacher – Regia: Pippa Ehrlich, James Reed; sceneggiatura: Pippa Ehrlich, James Reed; fotografia: Roger Horrocks; montaggio: Pippa Ehrlich, Dan Schwalm; interpreti: Craig Foster; produzione: Netflix; origine: Sudafrica 2020; durata: 85’.

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