Mandibules

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Adeguarsi, prendere le misure, accettare l’umorismo di Mandibules, è come passare attraverso un tubicino tutto attorcigliato di una cannuccia da clown e finire, al termine del viaggio allucinato, in un cocktail altamente alcolico che trascina con sé ogni onda nel flûte fino a ridere quasi a strozzarsi. Il paradosso iniziale vissuto dai due protagonisti Jean-Gab (David Marsais) e Manu (Grégoire Ludig) – rubare una macchina il cui cofano contiene una mosca gigante – dirige l’esperienza della visione cinematografica in una sorta di vaneggiamento lisergico: abbassare le difese, divenire scimuniti come chi pensa di poter addestrare un insetto mostruoso sovradimensionato per trarne un profitto da circo, è difficile per uno spettatore civilizzato, abituato alla comodità della poltrona col telecomando in mano.

Passato l’anno scorso al Festival di Venezia e qualche giorno fa’  al Rendez-vous Nuovo cinema francese (https://close-up.info/1906-2/), Mandibules destabilizza la noia ammuffita del prevedibile, aumenta percentualmente il tasso di follia nel sangue (il personaggio di Agnès, interpretato da Adèle Exarchopoulos, è l’esemplificazione massima dell’irrazionalità totale e della mancanza di regole applicate alla sceneggiatura, alla regia, alla direzione degli attori da parte di Quentin Dupieux), soffia sopra un fuoco fino a farne esplodere le braci dall’interno (cosa che avviene velocemente nella scena della roulotte), abbandona il senso del reale per abbracciare interamente la surrealtà sleale di un mondo privo di giustizia. Qui i ricchi perdono il loro tempo attorno a dentiere di diamanti, a cucinare piatti elaboratissimi durante un’estate calda in campagna, in cui un cane viene trucidato ma si può credere che l’azione sia stata compiuta da una giovane un po’ sfasata per via di un incidente sugli sci.

La leggerezza si fa aria libera volante, come un gas esilarante gettato da un aeroplano invisibile sulle coste della Francia: le gag comiche, la tragedia interna alla commedia mai liberata, sempre trattenuta nelle maglie di ripetizioni verbali sciocche e senza senso (quando qualcosa va bene i due furfanti senza malizia dicono “Toro” facendo con la mano il gesto delle corna, unendole insieme come a toccare le teste dei due animali formati dalle dita; ma lo dicono anche per dirsi buongiorno la mattina, buonanotte la sera, che bello questo momento, quanto ci stiamo divertendo, quanto siamo fichi: quindi quasi sempre). Nel gioco dell’assurdo bisogna entrare dalla testa ai piedi, altrimenti chi è dentro è dentro e chi è fuori è fuori.

L’amicizia è qualcosa fuori dal comune, incontrare un insetto kafkiano in una macchina parcheggiata e scegliere scientemente di tenerlo con sé rappresenta l’assurdità dell’imprevisto, l’ingenuità di volere vivere la vita come viene, accogliere il bello di una spiaggia sotto la scogliera senza chiedersi del domani, fingersi qualcun altro senza fare male a una mosca.

Film originale e divertente, provocatorio in maniera gentile, volatile e ottimista come la voce provocata da inalazione di elio da un palloncino che non è nostro e che presto volerà in cielo fino a essere perso di vista.

In sala dal 17/6


Mandibules  – Regia, sceneggiatura, fotografia, montaggio: Quentin Dupieux; interpreti: David Marsais, Grégoire Ludig, Adèle Exarchopoulos; produzione: Philippe Logie, Hugo Sélignac, Vincent Mazel, Quentin Dupieux; origine: Francia, 2020; durata: 77’; distribuzione: I Wonder Pictures.

 

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