Serre-moi fort – letteralmente “stringimi forte” (come a significare: affinché le bruttezze del mondo scompaiano dentro il nostro abbraccio), ottava opera cinematografica da regista dell’attore Mathieu Amalric, amato da cineasti francesi e internazionali (è l’alter ego di Arnauld Desplechin, ma è stato protagonista di pellicole di grandi registi quali Otar Ioseliani – col quale nel 1984 esordisce in I favoriti della luna – Raúl Ruiz, Assayas, Techiné, Spielberg, Sofia Coppola, Giannoli, Bruni Tedeschi, Alain Resnais, Wes Anderson, Vecchiali, etc), è il libero adattamento della pièce Je reviens de loin di Claudine Galéa.
Protagonista è Vicky Krieps – rivelazione ne Il filo nascosto, Paul Thomas Anderson,(https://www.closeup-archivio.it/il-filo-nascosto, 2017) accanto a Daniel Day Lewis, recentemente in Bergman Island (https://close-up.info/sullisola-di-bergman-di-mia-hansen-love/) di Mia Hansen Løve – nella parte di Clarisse, giovane madre che, nel cuore della notte, lascia il letto matrimoniale in silenzio, raccatta una borsa con le sue cose, si affaccia alla camera da letto dei figli, in cucina si attarda con un foglio di carta in mano e poi esce dalla porta a vetri senza lasciare traccia di sé.
In un continuo sbalzo temporale avanti e indietro – tracce di fantasmi, parole fuori campo, ambiguità e piccole incomprensioni – il film (presentato al Festival di Cannes nel 2021) segue la donna nel suo viaggio su una macchina di altri tempi – una AMC Pacer Break, 1979 – dalla Francia ai Pirenei al confine con la Spagna. Ascolta spesso una canzone leggera nel mangianastri accroccato accanto al volante, “Cherry” di J.J.Cale (1976), canticchiando il ritornello col sorriso sulle labbra.
Flirta col dolore, con l’assenza, con l’abbandono: non fa che pensare ai tre cari che ha lasciato, nella testa ha ancora le note del pianoforte suonato da sua figlia Lucie (Anne-Sophie Bowen-Chatet) – “La lettre à Elise” di Ludwig van Beethoven – incoraggiandola a migliorare a distanza, tra sé e sé. Marc, il marito, interpretato da Arieh Worthalter se la cava bene coi ragazzi, costruisce una casa sull’albero al Paul (Sacha Ardilly), che aveva perso la testa quando il padre aveva tolto dal bagno le cose della madre.
All’inizio e alla fine del film, Clarisse fa, sul materasso, un gioco di carte per bambini con delle fotografie Polaroid: un memory in cui due scatti si avvicinano ad essere uguali, o quasi, essendo uno successivo all’altro e di conseguenza compagni: nel farlo usa la fotografia istantanea Polaroid, quanto di più vicino alla mistificazione, all’immantinenza, all’immaterialità.
In questa storia d’amore tragica, nel viaggio dell’eroe verso la risoluzione ultima del suo dramma (che è inevitabilmente la morte), Amalric usa sapienti armi di regia a favore della perdita di contatto da parte dello spettatore con la realtà: si è avviluppati in un flusso contagioso di emozione a fior di pelle, come se ogni fotogramma fosse in possesso di un accendino per infiammare cuori sensibili, come se ogni immagine non contenesse solo ciò che inquadra ma anche tutto il contesto attorno, sconfinando e tracimando emozione.
Magia, paura, bellezza e dolore si fondono in un avviluppante grumo di amore che si riversa a fiumi nelle strade, sui tornanti gelati, su un orizzonte di mare d’inverno, come una scena di un film in bianco e nero visto alla tv. La Krieps porta nel viso levigato e attonito, sospeso e risoluto, il percorso di un vuoto che è pieno e poi di nuovo vuoto, pronto a essere ancora una volta riempito, come una trottola sadica atta a far impazzire chiunque la osservi.
Potente nel percorso, straziante nel finale. Un film di rara bellezza.
In sala dal 3 febbraio
Stringimi forte (Serre-moi fort) – Regia e sceneggiatura: Mathieu Amalric; fotografia: Chistophe Beaucarne; montaggio: François Gedigier; interpreti: Vicky Krieps, Arieh Worthalter, Anne-Sophie Bowen-Chatet, Sacha Ardilly; produzione: Les films de poisson, Gaumont, Arte France Cinema, Lupa Film; origine: Francia, 2021; durata: 97’; distribuzione: Movie Inspired.