Una parte delle Cliff (le scogliere bianche che si affacciano sulla Manica) collassa e una donna osserva i detriti scivolare in mare, tanto simili alla propria identità che lei non credeva essere calcarea, sottoposta quindi all’erosione, quella della vita. After Love, per la regia di Aleem Khan, è un film intimo sulla precarietà del sé, il proprio e quello altrui. Le persone amate possono avere altri volti e (ri)conoscersi attraverso quei volti può essere doloroso quanto fondamentale per sopravvivere alla perdita.
Mary (Joanna Scanlan) è una donna felicemente sposata con Ahmed (Nasser Memazia), musulmano. Per lui si è addirittura convertita all’islam e ha imparato l’urdu per comprendere quando «la sua famiglia parlava male di me». Ahmed muore mentre aspetta che il tè finisca di bollire, e la moglie si ritrova improvvisamente sola. Inizia una nuova vita, diversa, quella di una vedova che vede ovunque la mancanza del marito. Poi il crollo. Nel portafogli di Ahmed Mary trova una tessera intestata a una donna francese, sul telefono i messaggi scambiati con G. e d’un tratto lo stretto de La Manica, attraverso il quale il marito guidava il traghetto, acquisisce un nuovo significato. Mai le due sponde, inglese e francese, sono state così vicine e fragili.
Mary parte alla scoperta dell’altra, tentennerà e finirà per trovarsi un grembiule addosso e le mani tra gli oggetti di Genevieve (Nathalie Richard), l’amante del marito. Ma G. è tutt’altro che una scappatella, è qualcosa di più: Mary lo vede negli occhi di lei, soprattutto però lo scorge negli occhi di lui, Solomon (Talid Ariss), il figlio avuto da Ahmed con la donna francese, quel figlio che Mary non ha mai potuto avere.
Aleem Khan firma un film dalla sceneggiatura tiepida, capace di essere estremamente credibile nell’evitare gli estremi, di eccesso e di difetto, ma sapendo giostrare lo stato d’animo interiore del personaggio proiettandolo sul circostante. È l’insistenza sul bianco che prende allora piede, spalmandosi nelle sue diverse tonalità tra gli interni delle case, gli esterni delle cliff e vestiti a lutto. Joanna Scanlan, la protagonista, dà vita a un personaggio profondo, invero silenzioso, però dalla forza e tenacia pulsanti in quei mezzi gesti e sospiri. Di estremo interesse, inoltre, quando si rapporta con Genevieve e incontra così la nemesi, e al contempo la propria mimesi: «per mio marito ho fatto una cosa che potevo fare solo io».
Il rapporto tra le due donne è uno dei temi fondanti della pellicola. Donatasi completamente al marito, tanto da convertirsi per amore, Mary scopre in Genevieve una donna che non solo ha abitudini ben più secolari ma inoltre, a differenza sua, sa dell’esistenza dell’altra: «stiamo insieme e allo stesso tempo non stiamo insieme», ed è a conoscenza che Ahmed non sarà mai totalmente suo: «I mariti non lasciano mai una moglie per l’altra». Mary però non la odia. La donna inglese è incapace di odiare, preferisce cercare qualcosa che riesce solo a intuire. Riesce così a comprende come l’amante possa essere un mezzo per rivivere il marito, scoprire così come Ahmed vedeva lei, la propria moglie, quale valore avesse il suo amore: «Ma davvero ti ha detto che sua moglie era pakistana?». È insomma un gioco di specchi, specchi convergenti e divergenti, nel quale il raggio di sole è l’amore e il riflesso è l’identità, accentrata o distorta.
After Love ha la grande capacità di danzare in punta di piedi sugli abissi delle persone. E si usa il plurale perché identità e intimità vanno di pari passo, l’una è contaminazione per l’altra, e mai come nella pellicola si vede come il singolo necessiti dell’altro e l’altro non possa essere mai conquistato appieno. «Come puoi condividerlo con un’altra?» chiede Mary a Genevieve, e già la domanda contiene il dolore di chi la pone e di chi ne deve rispondere. Sono crepe nei muri e nell’anima, e con le cicatrici bisogna sapervi convivere, sia quelle volute che quelle accettate (perché indagate).
In sala dal 10 febbraio
After Love – Regia: Aleem Khan; sceneggiatura: Aleem Khan; fotografia Alexander Dynan; montaggio: Gareth C. Scales; suono: Joakim Sundström; musica: Chris Roe; scenografia: Sarah Jenneson; costumi: Nirage Mirage; trucco e acconciature: Diandra Ferreira; interpreti: Joanna Scanlan; Nathalie Richard; Talid Ariss; Nasser Memarzia; produzione: The Bureau; origine: Uk, 2020; durata: 89’; distribuzione: Teodora film.