Quasi a riprendere le fila del ben più lontano e molto dissimile Mickey on the Road , il film di Beniamino Catena (ce lo ricordiamo forse per le serie televisive Squadra Antimafia, Fuoco Amico e Rosy Abate) ci spinge verso orizzonti dell’anima ancora inesplorati.
Abbandonando le già rodate piste del thriller poliziesco, il regista, alla sua seconda prova nel film per le sale, si getta all’interno di una dimensione che vorrebbe disperatamente assumere tratti enigmatici, ma che in fondo si limita a riprendere le fila di un discorso cinematografico lasciato in sospeso da parecchi anni. Passato in anteprima al Festival di Torino 2020 e adesso distribuito nelle sale, Io sono vera/Vera de Verdad nasce dal connubio (non troppo felice) di svariati universi paralleli, nell’ordine: quello disabitato e fantasmagorico di un innocente Picnic ad Hanging Rock, quello metafisico e adolescenziale di Donnie Darko e quello appena sussurrato della Véronique di Kieślowski, nel quale l’immaginario comune cerca sempre un conforto ogni qual volta si parli di allarmanti e imprevedibili incroci.
Vera Melis (Marta Gastini) è una ragazzina dotata di un’intelligenza e una sensibilità fuori dal comune: appassionata di astrologia, questa sorta di fanciulla modello trascorre le sue giornate con l’occhio fisso sul telescopio, studiando il moto delle stelle. La guardiamo scrivere sul proprio diario, riempire le pagine con i colori vivaci di pianeti e astri distanti e vicini anni luce, per poi seguirla negli anfratti scoscesi della costiera ligure, luogo in cui intende spargere le ceneri del proprio amatissimo cane. Durante ciò che sembra una semplice e malinconica gita fuori porta in compagnia del professore – nonché vecchio amico di famiglia – Claudio (Davide Iacopini), Vera scompare misteriosamente, lanciando al vento una frase indecifrabile: dov’è il fuoco? A questo punto, la vicenda s’interrompe bruscamente, frammentandosi in una serie di fotogrammi che alternano la disperata ricerca di Claudio alla momentanea morte di Elias (Marcello Alonso), vigilante dell’osservatorio astronomico Alma, in Cile.
Le distanze s’accorciano sempre di più, fino a quando non vediamo Elias tornare in vita e prendere il posto di Vera nel cosmo. Passano gli anni e l’uomo, perseguitato da visioni estranee e al contempo inspiegabilmente familiari, decide di partire alla ricerca dello spirito che abita, per errore o per volontà, il suo corpo di redivivo. Il tutto si svolge entro la prima mezz’ora: azzardiamo che è un po’ troppo. Dov’è il segreto destinato a rimanere sepolto nel suo mistero, lasciandoci gustosamente insoddisfatti? Dove sono gli indizi capaci di ricondurci al rebus finale? Non basta articolare qualche frase sconnessa e scomodare i fondamentali della fisica per rendere lo spettatore partecipe dell’enigma universale in cui i personaggi sono racchiusi: Elias capisce subito cosa gli sta succedendo, sa dove andare, cosa fare, con chi parlare per richiudere la falla spalancatasi fra un’ipotesi e l’altra. Così Vera, tornata a casa dopo anni di assenza, si limiterà a ripercorrere una strada già tracciata: l’aspetto stralunato e incanutito della ragazza ci suggerisce la sua appartenenza ad una dimensione che non dovrebbe mai scontrarsi con la nostra.
Nell’insieme, tuttavia, l’impalcatura magico-quantistica eretta da Beniamino Catena non regge, anzi verrebbe quasi voglia di richiudere tutti i cunicoli spazio-temporali che pretendono di legare le vicende di Vera a quelle di altri piccoli geni incompresi della storia del cinema. Il momento in cui la protagonista ed Elias, con spaventata commozione, si riconoscono, è a dir poco frustrante: perché aprire la porta della cantina, quando sarebbe molto più semplice lasciare al pubblico il piacevole compito di schiuderla, magari una volta terminati i titoli di coda?
Certo, le umide gallerie liguri in cui gli esseri umani ossessivamente cercano il fuoco, strizzano l’occhio alle rocce claustrali e selvagge di Peter Weir, ma senza conservarne gli incantesimi. Sarebbe stato meglio se Vera, in ospedale, avesse lasciato ad altri – che si tratti di un vecchio insegnante o di un coniglio parlante – l’arduo compito di risolvere l’equazione: una domanda rimasta in sospeso è, in fondo, più affascinante di qualsiasi risposta.
In sala dal 17 febbraio.
Io sono vera/Vera de Verdad – Regia: Beniamino Catena; sceneggiatura: Paola Mammini, Nicoletta Polledro; fotografia: Maura Morales Bergmann; montaggio: Pietro Morana; interpreti: Marta Gastini (Vera Melis), Davide Iacopini (Claudio), Anita Caprioli (Anna Melis), Paolo Pierbon (Giacomo Melis), Manuela Martelli (Clara), Caterina Bussa (Vera Melis undicenne), Marcello Alonso (Elias); produzione: Macaia Film, Atomica, 17Films; origine: Italia, Cile 2020; durata: 100’; distribuzione: No. Mad Entertainment.