
Non sempre si riesce a trovare un filo conduttore che accomuni i molti e vari film di un festival, eppure arrivati ormai alla fine del concorso di questa edizione di Cannes sembra che si possano trovare dei punti di riferimento. O per lo meno alcune delle opere presentano tematiche in comune. Una fra le più interessanti, punto di partenza di molti dei film visti, è sicuramente la necessità di confrontarsi con gli scheletri nell’armadio di un passato familiare. Ne abbiamo già parlato nelle recensioni di Alpha, Sound of Falling, e Sentimental Value, e sicuramente se ne trova la stessa forte urgenza narrativa anche in Romería della regista Carla Simón, vincitrice di un Orso d’Oro a Berlino per Alcarràs nel 2021. La regista catalana, proprio come la sua protagonista, ha perso i genitori in giovane età, vittime dell’AIDS e Romería è quindi un ‘opera molto personale, che delicatamente cerca di avvicinarsi ad un doloroso segreto del passato. Forse per questo motivo Simón abbandona lo sguardo curioso e giocoso dell’infanzia del quale si era servita per raccontare gli eventi di Estate 1993 e Alcarràs, per donare alla cinepresa uno sguardo più adulto. D’altra parte, anche il soggetto lo richiede. Ancor oggi, si fa fatica a parlare di tossicodipendenza.
18 anni appena compiuti e un’estate, quella del 2004, davanti a sé. Marina (Llúcia Garcia), zaino in spalla e cinepresa in mano, è in viaggio sul traghetto che la porta a Vigo, il paese d’origine dei suoi genitori biologici, morti di AIDS quando lei era ancora bambina. Il motivo è colmare una lacuna nel suo certificato di nascita che le serve per potersi iscrivere alla scuola di cinema. Inutile dire che il viaggio prende la forma di un vero e proprio ‘pellegrinaggio’, a cui fa riferimento il titolo spagnolo, data la vicinanza della città portuale di Vigo alla famosa meta di pellegrinaggio che è Santiago di Compostela.

Marina è accolta, in parte con calore, in parte con imbarazzo e distacco (in particolare da parte della nonna) dai vari componenti della ricca famiglia del padre; trascorre lunghe giornate con i cugini sulla barca a vela, inizia una tenera amicizia con il cugino Nuno (Mitch Martín), e raccoglie ricordi e testimonianze di un passato a lei estraneo. I molteplici frammenti, come tasselli di un mosaico, dovrebbero andare a colmare le lacune lasciate dal diario della madre in suo possesso. Ma le versioni di zii e parenti non sempre concordano fra loro, si scontrano con le annotazioni del diario materno. E ancora peggio si delineano ombre ed attriti di un rifiuto ora diventato imbarazzante e scomodo da giustificare.
Ai suoi filmati girati con la cinepresa a mano, che vediamo scorrere sul grande schermo, si alternano fino a prevalere, immagini di una realtà immaginaria, quasi sognata, ma vivida, che vede un parallelo fra la relazione di Marina con il cugino e la storia d’amore dei genitori. Il triste epilogo di quest’ultima, dovuto alla dipendenza da eroina, è raccontato in poetiche e sgranate sequenze, che riproducono il formato casalingo e amatoriale degli home movie. Riprese queste, della sempre magnifica fotografia di Hélène Louvart, presente qui a Cannes con una seconda collaborazione, quella al film Eleanor the Great, opera prima di Scarlett Johansson. Come dicevamo, le immagini del sogno di Marina, non hanno però nulla di onirico o fantastico, ma sono saldamente ancorate alla precisa descrizione delle pagine del diario da cui Marina in voice-off legge, finché queste scorrono. Carla Simón rimane fedele alla sua delicata narrazione, il dramma è contenuto e pacato, mai in eccesso. Pur quando osserva la tensione dei visi durante l’incontro in famiglia, mentre il viso candido di Llúcia Garcia non fa una piega e sopporta con stoico eroismo l’ipocrisia di una famiglia che non si è cercata. Forse Romería non ha la coerenza dell’opera precedente, si sbilancia verso la fine nei ricordi, ma lascia il gusto amaro di una perduta innocenza accompagnato dal suono vibrante di una cinepresa a mano.
Romería: – Regia e sceneggiatura: Carla Simón; fotografia: Hélène Louvart; montaggio: Sergio Jiménez, Ana Pfaff; musiche: Ernest Pipó; scenografia: Mónica Bernuy; interpreti: Llúcia Garcia, Mitch Robles, Tristán Ulloa, Celine Tyll, Miryam Gallego, Janet Novás, José Ángel Egido, Sara Casasnovas; produzione: Elastica Films, Ventall Cinema, Dos Soles Media, Romería Vigo AIE; origine: Spagna/Germania 2025; durata: 115 minuti.
