Ananda di Stefano Deffenu

  • Voto
4

Il diario di viaggio che Stefano Dessenu tesse, dalla Sardegna fino alle pendici dell’Himalaya in India, non vuole essere il solito diario turistico, con predominanza paesaggistica. La ricerca del regista – che si mette letteralmente a nudo in un racconto intimo dettato dall’urgenza di elaborare il tragico lutto del fratello – si muove peregrino in mezzo agli sguardi vivaci dei bambini, tra New Delhi, il fiume Gange, l’Himalaya e il curioso e misterioso villaggio di Malana.

Passato in anteprima internazionale alla 55a edizione del Karlovy Vary Film Festival e suddiviso in dieci brevi capitoli, Ananda, cui è ascritta anche la voce narrante dell’autore che accompagna con note di colore melanconico un vero e proprio percorso dell’anima, è stato scritto in collaborazione con Bonifacio Angus (che ha diretto a sua volta Deffenu nei suoi film più noti: Perfidia e il recente I Giganti https://close-up.info/i-giganti-di-bonifacio-angius/ ) e Pierre Obino.

Ma chi sono gli Ananda? Sono una tribù di bambini che ha scelto di vivere liberamente nella gioia, nel gioco, nella libera condivisione e fruizione della natura, di quanto è stato loro donato, al di fuori di qualsiasi rigido schema, in uno spazio aperto non propriamente ascrivile al territorio percorso nei suoi elementi denotanti una specificità del territorio indiano. La loro libertà sembra essere quasi una magica rivisitazione di una vita al di fuori degli schemi.

Per trovarli, Stefano Dessenu ha avuto, però, bisogno di almeno dieci anni. Dieci lunghi anni di ricerca, non solo dei bambini, ma anche di se stesso, smarrito nei suoi dubbi e tormenti di più chiara urgenza. Il filmmaker fotografa la realtà soggettivamente e dedicandosi al montaggio, nel tentativo di restituire con precisione e vitale adesione alle pratiche, ai rituali, alle usanze di un popolo, non fa che apportare la sua personalità dentro un mondo altro, sconosciuto e necessariamente da esplorare.

Sciamani, guru, pellegrini erranti, mendicanti. Figure che si stagliano nel paesaggio senza elevarsi al di sopra. Lo scopo è proprio quello di renderli parte di una comunità, evitando di elevare le singole figure che compongono il viaggio di tanti diversi colori, sfumature, plausibili tonalità chiaroscurali. L’incrocio con un grande saggio indiano, Barthi Baba, è una delle tappe di avvicinamento alla verità della condivisione. Il fiume sacro del Gange scorre imperterrito, la voce dell’autore commenta in maniera pacata, vinta, l’insieme delle palpabili suggestioni, rese vivide da un lavoro di regia brulicante di umori. Non si può non pensare al racconto da fiaba, per la placida, carezzevole leggerezza con cui le visioni sono commentate (e non sottolineate).

Non si vuole porre l’accento su un elemento in particolare, è l’anima dell’India a sovrastare, nel frastuono di smog, terra, pendici, sopra ogni altro elemento di raccordo che poi filtra e ci dice la sua, sussurrando nelle orecchie. C’è chi fra i più giovani sogna Bollywood. Pierre si diverte a mettere alla prova un ragazzo con delle capacità interpretative. Prima degli ananda però, il sacro ricollega la memoria di un popolo ai bambini-guerrieri: i tamburi sono le loro armi e la danza la loro religione. A un certo punto, a metà del viaggio, il film si domanda: “Chi sono io?”. Chi è Stefano Deffenu, chi era suo fratello e chi sono gli abitanti che incontra durante questo itinerario di viaggio che lo ha portato nel cuore dell’India e nei recessi più segreti di un popolo costellato di riti e iniziazioni alla vita.

Perché Ananda è la vita e la consapevolezza di chi sei veramente, forse sì, forse no, ma vale la pena continuare a cercare fino alla fine. Secondo le varie voci, la rivoluzione la fanno i bambini e solo allora può trasformarsi in una “rivolunione”. L’arrivo sulle montagne dell’Himalaya, i cosiddetti pilastri del cielo, il regno degli dei, è una tappa importante, si è lontani dal mare ma vicino alle nuvole, quindi in intima connessione sia con la tribù ricercata che con l’anima di Giancarlo, il compianto fratello. Di poco sotto, troviamo il villaggio di Malana, dove tutto è sacro e nessun contatto può avvenire per via diretta. Coloro che consegnano un oggetto prezioso a un vicino, lo lasciano solitamente sull’uscio, a terra, evitando di consegnarlo direttamente nelle mani del ricevente. Si dice che quel villaggio, posizionato proprio sotto il gettito di un fiume che sgorga dalle pendici dei monti, sia la più antica democrazia della terra.

Il regista, novello Tom Sawyer, vi si mischia con attenzione ai dettagli, in quello che risulta essere il capitolo più interessante del film. Uno sguardo attento agli sviluppi di una sottocultura che vive veramente con pochi riti quotidiani, fra i quali quello di rudimentali affreschi, realizzati dagli stessi bambini del luogo. Il fuoco sacro del rituale, il senso di colpa, la ricerca, poi la fuga. E non evita di sottolineare un fatto che non riesce proprio a tenersi per sé: il rancore nei riguardi dei medici, rei di aver fatto, da quel che si evince, un’operazione sbagliata che è stata causa della morte del fratello. Il ritorno, dopo la fuga, riconduce alla caotica Nuova Delhi, da dove ogni tappa ha avuto inizio. Ma Deffenu ammette che vorrebbe restare. Un gomitolo di cavi elettrici annodati sopra le teste. Edifici bassi, il chiaroscuro dell’aria, la foschia nel cielo al tramonto, tutto concorre alla costituzione di un sostrato di melanconia invadente (forse a tratti, un po’ pedante). Prima del  saluto all’India, il saluto di un bambino alla stazione del treno. Un richiamo furtivo agli Ananda che poi si manifestano in maniera inattesa (resistere fin oltre i titoli di coda, a questo punto, è d’obbligo).

Complessivamente, non si può non pensare alla ricerca poetica fatta nel corso della sua carriera da Werner Herzog, nella fattispecie viene da pensare agli aborigeni che in Dove sognano le formiche verdi (ma dal punto di vista formale constatiamo maggiori assonanze con Apocalisse nel deserto, suddiviso in tredici capitoli e con il commento distaccato dell’osservatore), disvelano un’armonia tale con gli elementi che li circondano, da simbolizzare una forte presa di posizione contro il progresso della civiltà occidentale. La quale pur vantandosi delle proprie innovazioni a livello d’infrastrutture, finisce poi per far emergere difetti ogni volta che il terzo mondo (i poveri) prova(no) ad usufruirne per avere degli auspicabili vantaggi figli del progresso. A far tesoro però degli insegnamenti della vita non è chi governa il mondo, detenendo il potere, ma chi non ha nulla, se non la fede, conservandone lo spirito.

La lezione che in fondo, Dessenu e Angus ci raccontano, è proprio questa. Bisogna trarre una lezione da ogni cultura con cui si entra in contatto, perché può essere in grado di riportarci alla ragione di esistere della propria, giuste o sbagliate che siano le prerogative che conducono a tale incontro.

In sala dal 23 marzo


Cast & Credits

Ananda – Regia: Stefano Deffenu; sceneggiatura: Stefano Deffenu, Bonifacio Angus, Pierre Obino; fotografia: Stefano Deffenu; montaggio: Stefano Deffenu; musica: Francesco Simula, Luigi Frassetto; produzione: Il Monello Film; origine: Italia 2022; durata: 60’; distribuzione: Il Monello Film.

 

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