I Giganti di Bonifacio Angius

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«Ma questa non è una storia, è un poemetto» dice uno dei personaggi, Riccardo, il più giovane, e subito il titolo altisonante, I giganti, è in bilico così come la natura degli stessi: s’intuisce che i giganti in questione non sono tali per levatura etica o onnipotenza, bensì mantengono la contaminazione umana del titano, delle ‘favolacce’ sarde: «dei Giganti di Monte Prama che si facevano largo con la loro sciabola e trafiggevano chiunque si parasse davanti» dice ancora Riccardo, colui che non può che dire. Quindi giganti nella furia, giganti nell’(auto)distruzione. Vogliamo togliere l’imbarazzo delle parentesi? Sì, lo si dica: qui abbiamo giganti in autodistruzione. Perché? Perché I giganti è un film nel quale i personaggi sparano ad altri con il fine di uccidere se stessi. E nulla da dire, ci riescono.

Unico film italiano presentato allo scorso Festival di Locarno e adesso arrivato nelle sale del nostro paese, il terzo lungometraggio di Bonifacio Angus, dopo Perfidia (2014) e Ovunque proteggimi (2018), trova una casa isolata («novecentesca come quella di mia zia») e cinque uomini (quattro giganti più un gigante in erba) che si riuniscono per fuggire da un passato, da un presente e dalla vita in generale. Il tempo della vicenda è una notte e poco più trascorsa assumendo droga, fumando e bevendo, non si fa altro e proprio nel non fare altro si fa tutto ciò che è necessario per preparare l’epilogo, un finale atteso e intuibile, certo agrodolce se si è potuti entrare in empatia con quelle cinque anime. Mai l’autodistruzione, viene da pensare, è stata così prossima alla redenzione, personale.

La locandina disegnata, come i caratteri del titolo, deviano le attese dello spettatore in direzione di un filone cinematografico quale gli spaghetti western, quando in realtà il rimando è solo una strizzata d’occhio perché c’è tanto far west anni ’70 quanto Quentin Tarantino degli anni 2000. La differenza è che i primi sparavano prima di poter parlare e il secondo parla prima di poter sparare: nel caso di Angius si può ben dire che guarda a questo secondo ed è una fortuna perché i dialoghi di Angius sono una benedizione. È sufficiente il primo scambio di battute per confermare una marca stilistica del regista/sceneggiatore/attore:

Be’, tanto non ho pagato il biglietto. /E come hai fatto?/ A far cosa?/A non pagare./Non c’avevo i soldi non ho pagato

I dialoghi di Angius rivelano anche la differenza con Tarantino, cioè il pescaggio psicologico della persona che tiene la pistola, certo superiore a quello dei personaggi del regista americano, e i dialoghi del regista sardo hanno anche un qualcosa in più, un surplus congenito oltre la costante vaghezza, dicasi il sardo. Se durante un’intervista (www.youtube.com/watch?v=Bi2IvqMPdZ4) Angius rimarca come il suo sia un cinema individualista («io sono per l’internazionalità del cinema, non per il cinema regionale. Il cinema è sempre frutto di un’opera individualista») è però inevitabile che il sardo diventi un marchio di fabbrica del regista e acquisisca risonanze inaspettate, fertili (ma forse il vigatese di Andrea Camilleri non ce lo aveva insegnato?). Ne risulta una voce d’altri tempi, una voce che preposta al racconto e cadenzata al tempo giusto nella narrazione (operazione non nuova per Angius, vedasi Perfidia) fa assumere a quel sardo una valenza universalmente umana, draconiana: «Ci sono persone che dicono di fare una cosa e poi ne fanno un’altra. Parlano per anni, sono tutti così». Ed è stato per tutti così, pure per i nostri giganti, e soprattutto per le persone che li circondavano.

Nella propria vita ognuno ha avuto qualcuno che ha detto di fare e poi, inevitabilmente, ha fatto altro. Stefano (Stefano Deffenu) tradito dalla fidanzata, Massimo (lo stesso Bonifacio Angius) ‘abbandonato’ dalla compagna e dalla figlia («e la bambina? E la bambina è andata, anche lei»), Andrea (Michele Manca) e Piero (Stefano Manca), altri due relitti per cause non dichiarate appieno ma motivate dal naufragio nella casa. Quattro giganti incapaci di metabolizzare i danni della vita e neppure, sembrerebbe, tanto spronati a farlo: ormai è avvenuto e a qualcuno tocca pure rimanere danneggiato irreparabilmente, a loro per esempio. A proposito in un’altra intervista (www.youtube.com/watch?v=Bcsl1sWuHac), il regista nota: «sono giganti in contrapposizione al fatto che potrebbero essere uomini molto piccoli oppure sono giganti perché sono consapevoli di aver perduto e ciò li rende davvero giganti». Il resto è soltanto buio e luce.

La fotografia non è infatti ‘curata’ come quella di Perfidia, o meglio, non è studiata a tale livello perché qui non deve esserlo, educata s’intende: qui la luce, il sole, l’esterno non sono amici dei giganti, sono invero il fiotto che illumina i profili nella prima notte quando la confessione si fa tentativo di catarsi e alla fine non lo è perché la luce nel buio taglia e sotto le lame non esistono parole di conforto e salvazione. E al mondo esterno? E al mondo esterno sono rivolte al massimo poche e misurate parole. Angius non nasconde che il suo ispiratore sia quello di tanti della sua generazione e della generazione prima e di quella prima ancora che forse era contemporanea alla musa stessa, insomma Federico Fellini, e Fellini a un certo punto deve comparire e lo fa – come di consueto – con clarinetto, ottoni e tamburo, alle sue spalle un corteo funebre. Fellini appare a braccetto con il mondo esterno e a quel mondo esterno, allora, sono rivolte le giuste parole: «Stronzi! Stronzi! Stronzi!», prima che le persiane vengano chiuse e ritorni il buio. Non solo quello.

Alla fine nel buio rimane solo lui, Riccardo (Riccardo Bombagi), l’infiltrato o il nuovo arrivato tra i giganti. A lui, lui che parla tanto senza però dire cose per certo sagge (in Angius non è necessario parlare tanto per essere saggi, è sufficiente parlare), a lui rimane l’eredità dei giganti e l’eredità si consuma sul legno di quella porta dietro alla quale la luce, il sole, l’esterno battono colpi e scuotono la casa tutta. Il mondo là fuori ha atteso anche troppo. E a Riccardo e a noi non rimane davvero molto se non una domanda: «Ci sono persone che dicono di fare una cosa e poi ne fanno un’altra». Alla fine i giganti hanno detto una cosa e poi fatto un’altra?

Forse no, almeno non tutti, e comunque (questa volta) non hanno chiamato l’ambulanza.

In sala dal 21 ottobre


I giganti – Regia: Bonifacio Angius; sceneggiatura: Bonifacio Angius, Stefano Deffenu; fotografia: Bonifacio Angius; montaggio: Bonifacio Angius; scenografia: Luca Noce, Salvatore Angius; interpreti: Bonifacio Angius (Massimo), Stefano Deffenu (Stefano), Michele Manca (Andrea), Riccardo Bombagi (Riccardo), Stefano Manca (Piero); produzione: Bonifacio Angius; origine: Italia, 2021; durata: 80’; distribuzione: Il Monello Film.

 

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